Una recente ricerca condotta in Italia su adolescenti, tecnologia ed emergenza Coronavirus rivela aspetti e particolari che sembra opportuno considerare attentamente in funzione di una diversa gestione futura delle relazioni interpersonali

di Luca Bosco

Adolescenti tra tecnologia e quarantena

In tempo di quarantena, le sedute online con gli adolescenti rilevano un aumento di ansia, attacchi di panico, comportamenti compulsivi, isolamento sociale, apatia, abbassamento del tono dell’umore, alternati magari a eccessi di agitazione psicomotoria o di ira. Anche ragazzi che prima del lockdown si percepivano come estroversi, gioviali e pieni di energia, sembrano subire un forte contraccolpo. Molti operatori si aspettano nel prossimo periodo un’ondata di disturbi post-traumatici da stress. Nei casi in cui vi siano state perdite di familiari, a causa del Coronavirus, vi può essere una difficoltà nell’elaborazione del lutto, dovuto al non aver potuto vedere il parente durante il periodo del ricovero in ospedale, né ritualizzare l’estremo saluto attraverso un funerale.

“Giovani e quarantena” è il tema dell’indagine promossa dall’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche e cyberbullismo (Di.Te.), in collaborazione con Skuola.net, che ha visto coinvolti più di novemila ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 21 anni.

Alcuni dati sembrano confermare le impressioni di chi lavora nell’area di supporto psicologico o psicoterapeutico con gli adolescenti, e cioè che questa sia proprio una tra le “categorie” di soggetti più colpiti dalla quarantena, e di cui purtroppo si parla poco o per nulla.

Dalla ricerca emerge che più di un terzo dei ragazzi rimane sempre connesso, non stacca mai completamente dalla tecnologia, e passa da una videolezione, alla messaggistica, ai social, alla full immersion nelle serie tv, ai video su YouTube, ecc., che spesso si protraggono anche per buona parte della notte o fino all’alba (il fenomeno del “vamping” è una tra le ultime tendenze tra i giovani). La quasi totalità dei ragazzi ha modificato gli orari di addormentamento e risveglio; alcuni faticano ad addormentarsi, altri hanno risvegli notturni e si sentono stanchi al mattino. D’altra parte, è ormai un’evidenza che un abuso, soprattutto serale, della tecnologia, può portare a dei disturbi del sonno.

È ormai ben noto anche ai non addetti ai lavori, che gli strumenti tecnologici possono creare dipendenza; anche se forse occorre specificare che non è tanto lo strumento a provocarla, quanto l’utilizzo di alcune applicazioni. La dipendenza si basa sul meccanismo dopaminergico che si innesca quando pubblichiamo un post su un social o mandiamo un messaggio, e attendiamo la risposta. È nell’attesa che avviene il rilascio di endorfine, che possono portare ad una dipendenza, come per i ludopatici che innescano questo meccanismo al momento della “puntata”, non in seguito alla vincita o alla perdita di denaro. Tale circuito segue peraltro gli stessi principi di quanto avviene con alcune sostanze, come ad esempio la cocaina.

Per il 90% dei ragazzi l’utilizzo delle tecnologie rappresenta l’unico modo per mantenere i contatti con gli amici, ma – a conferma dell’illusorietà della socializzazione online – ben il 74% dei ragazzi percepisce un senso di solitudine. Siamo dunque di fronte a ragazzi iperconnessi, ma preoccupati e soli. Di fronte allo schermo l’emozione, il sentimento, il legame, sembrerebbero essere filtrati, se non schermati, bloccati, poiché “la tecnologia – come afferma Giuseppe Lavenia, presidente di Di.Te. - dissocia le emozioni dal rappresentarle”, e dunque esse rimangono tutte dentro, finendo per generare ciò che osserviamo nei nostri pazienti: un aumento dell’ansia e delle somatizzazioni.

Un terzo dei ragazzi, inoltre, ha difficoltà a proiettarsi nel proprio futuro, non riesce a immaginarselo, non ha certezze. Rileviamo una mancanza di desiderio, che fa virare alcuni ragazzi verso un tono depressivo. A questo proposito, occorre preparare il prossimo ritorno alla “vita reale”, perché per alcuni ragazzi potrebbe non essere facile compiere questo passaggio.

In questo ambito, non solo gli psicologi, ma naturalmente i genitori possono fare molto. Intanto, evitando che la distanza digitale fra loro e i figli diventi un una distanza relazionale. Come genitori dovremo non “cedere” con troppa fretta alla richiesta di cellulari e tablet dei nostri figli. Assolutamente deleteria è l’esposizione precoce dei bambini piccolissimi agli schermi, che le ricerche rilevano correlata ad un aumento di disturbi di attenzione e iperattività.

Per i bambini più grandicelli o per i preadolescenti, poi, il solo fatto di saperli utilizzare, non comporta la capacità di discernere cosa, quanto e come utilizzarli. Siamo noi adulti che dobbiamo aiutarli a “imparare a usarli”, non ovviamente dal punto di vista dell’utilizzo pratico (dato che spesso loro ne sanno più di noi), quanto piuttosto dal punto di vista dell’utilizzo consapevole.

Anche perché, se è vero che le tecnologie hanno in qualche modo aiutato i ragazzi a mantenersi in contatto in questo periodo, è altrettanto allarmante rilevare un aumento di tre volte delle chiamate ai sevizi contro il cyberbullismo. Così come da genitori, in tempo pre-Covid, chiedevamo ai nostri figli come era andata la giornata; allo stesso modo – suggerisce ancora Lavenia – dovremo ora chiedere a fine giornata come è andata la loro “giornata online”. Non lasciamoli soli nel loro mondo digitale. Impariamo a conoscerlo, condividiamo dei momenti con i nostri figli, prendiamo cura di loro interessandoci a quello che fanno online durante la giornata.

 

Riferimento sitografico:

https://www.tgcom24.mediaset.it/skuola/coronavirus-la-vita-degli-adolescenti-in-quarantena-a-1-su-3-il-domani-fa-paura_17798030-202002a.shtml

 

Luca Bosco, Psicologo e Psicoterapeuta, è autore del volume "I luoghi del sé. Il test del villaggio. Applicazione del metodo evolutivo-elementale dall'infanzia all'età adulta" e "La Tecnica del Villaggio nella Psicoterapia Infantile".
E' Socio della Società Italiana di Psicologia On Line.

 

 

 

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