Nel mondo di internet, la manifestazione dell'inconscio collettivo la si può rintracciare nelle parole di Schafer quando afferma che “tu sei ciò che condividi”. Internet e i social media sono passati dall'essere un servizio online a disposizione dell'utente ad una vera e propria infrastruttura sociale che si muove lungo sessioni di codice HTML.

Di Giorgia Lauro

inconscio collettivo digitale

 

Il mondo ci vuole iperconnessi e se fino a qualche decennio fa l'attenzione era focalizzata sulle risorse come l'oro o il petrolio, ad oggi i dati e la loro comunicazione rappresentano l'obiettivo primario cui aspirare.

Il mondo digitale ha infatti determinato non solo una trasformazione dei processi tecnologici sempre più sofisticati, ma anche un cambiamento dei processi comunicativi ed interattivi, dal linguaggio alla scrittura e, a loro volta, dalla cultura alla psiche.

La velocità con cui tali cambiamenti hanno permeato la società a livello globale non ci ha consentito di comprendere a pieno le ripercussioni che avrebbe e continua a produrre. La tecnologia, in sintesi, ci chiede semplicemente di apprendere velocemente i suoi mutamenti e, con essi, di modificare le nostre routine quotidiane.

L'ascesa del dominio digitale, come suggeriscono gli autori del presente articolo, il Dottor Sharif Adbdunnur e la Dottoressa Krystle Houiess, ha creato un nuovo mondo nella sfera virtuale, una sorta di stato filosofico di entropia dove la tecnologia ha sostituito sempre di più i pensieri culturali ed etici.

Come sottolinea anche Tim Hinchliffe (2017), non solo nel corso degli anni si è assistito ad una creazione del virtuale, ma si è constatato che questa ha un'influenza completa sulla comunicazione che avviene nel mondo reale, sulle strutture fisiche e biologiche del nostro cervello che sono state e continuano ad essere sollecitate per poterci adattare più facilmente ad esso.

A partire da questa premessa, nel presente articolo, gli autori hanno rivolto la loro attenzione non solo all'individuo o alla struttura sociale, ma anche al subconscio in una scala collettiva più ampia, un sorta di nuovo inconscio collettivo Junghiano che appare ora come in divenire.

Quando Jung iniziò a presentare al pubblico di accademici dell'epoca il concetto di inconscio collettivo non fu preso molto sul serio, in quanto si riteneva che tale teorizzazione appartenesse più ad una sfera della parapsicologia o dell'esoterismo. Allo stesso tempo, anche se oggi sia un costrutto ancora controverso per alcuni, viene comunque utilizzato per analizzare e spiegare la società e i suoi vari livelli.

Secondo gli autori, oggi stiamo assistendo, accidentalmente o intenzionalmente, alla creazione di un inconscio collettivo non solo visibile ma che produce un enorme impatto, diretto e indiretto, anche sui gruppi culturali che si uniscono sotto la spinta di un inconscio globale.

Secondo Lovink (2016), nella fase iniziale dell'avvento di Internet era troppo presto per poter ipotizzare “strutture profonde come il (sub)conscio. Ma ora che viviamo interamente nel tempo dei social media, è diventato più che pertinente fare questo: collegare la tecnologia alla psiche”.

In tal senso, bisogna prima, precisano gli autori, comprendere appieno il concetto Junghiano di inconscio collettivo per poi estenderlo alla dimensione digitale di oggi.

All'inizio il concetto di inconscio si limitava a denotare lo stato di contenuti rimossi o dimenticati. Anche Freud, pioniere del costrutto di inconscio, lo intese come luogo di raccolta di contenuti rimossi o dimenticati che, proprio grazie a queste sue caratteristiche, lo rendevano funzionale.

Per Freud, l'inconscio era di natura esclusivamente personale, sebbene fosse consapevole delle sue caratteristiche di pensiero arcaiche e mitologiche. L'inconscio sarebbe quindi dotato sicuramente di uno strato superficiale, ossia quello personale, ma allo stesso tempo, questo inconscio personale poggia su uno strato più profondo che non deriva dall'esperienza personale e non viene acquisito successivamente, in quanto innato.

Questo stato più profondo è quello che rappresenta l'inconscio collettivo. Jung lo definisce “collettivo” in quanto gli riconosce una dimensione universale a discapito di quella puramente individuale. A differenza dell'organizzazione psichica individuale, l'inconscio collettivo presenta contenuti e modalità di comportamento più o meno uguali in tutti gli individui.

Secondo Jung (2014), l'inconscio collettivo sarebbe identico in tutti gli uomini e costituirebbe un substrato psichico comune di natura sovra-personale che è presente in ognuno di noi. Nel contesto psicoanalitico è abbastanza risaputo che furono queste le argomentazioni che separarono l'alunno dal maestro.

Credendo nelle sue teorizzazioni, Jung ha infatti postulato l'esistenza di una psiche collettiva. Come sostiene Luton (2018), parlare di inconscio collettivo significa fare riferimento a “contenuti psichici che non appartengono ad un individuo, ma ad una società, ad un popolo o alla razza umana in generale”.

L'individuo è una somma di questi contenuti collettivi e psichici; egli a sua volta reinveste e aggiunge qualcosa di nuovo in questa fusione, divenendo esso stesso un'entità in continua evoluzione (Schafer, 2016; Jung, 1970).

Se allarghiamo lo sguardo alla società attuale, questo aspetto lo si ritrova in tutti quei settori che cercano di profilare gli utenti al fine di tracciare una personalità collettiva, valutare l'opinione di gruppi che condividono valori etici e sociali, attuare strategie di marketing specifiche per particolari tipologie di utenti e così via.

All'interno del mondo di internet, la manifestazione dell'inconscio collettivo la si può rintracciare nelle parole di Schafer (2016) quando afferma che “tu sei ciò che condividi”. Internet e i social media sono passati dall'essere un servizio online a disposizione dell'utente ad una vera e propria infrastruttura sociale che si muove lungo sessioni di codice HTML.

Vari studi hanno inoltre dimostrato come la paura di perdere la connessione per un solo giorno determina nelle persone un forte sentimento di ansia (Nuwer, 2018), ed è forse questo uno degli aspetti che porta molti esperti ad affermare come l'essere “diventati connessi” fa parte non solo della nostra vita ma anche del nostro essere.

Internet ed i social media sono stati creati e successivamente sviluppati da agenzie governative militari e agenzie di istruzione, ma allo stesso tempo vengono temuti per la forza di auto-generare nuove entità collettive (Benson et al., 2017).

Jean Baudrillard ha evidenziato come i social media possano essere intesi come “spazi reciproci di parola e risposta” (Lovink, 2012): siamo cioè immersi in un sistema in cui si parla e risponde in modo incessante.

A questo si aggiunge che il mondo digitale ha eliminato le distanze geografiche, lo status socio-economico e le differenze genetiche, creando cioè una realtà altra che non ha limiti e confini. Non siamo definiti dall'hardware o dal software che utilizziamo, perché facciamo parte di una sfera più ampia, appunto quella “sociale digitale”.

Elon Musk, il magnate della tecnologia, ha osservato che “in termini di Internet, è come se l'umanità avesse acquisito un sistema nervoso collettivo. Mentre prima internet poteva somigliare di più ad un insieme di cellule che comunicavano per diffusione, oggi è come se vi fosse un sistema nervoso capace di collegare tutti in qualsiasi momento” (MacGregor, 2018).

Anche Stephen Hawking ha espresso la sua idea, evidenziando quanto “siamo tutti connessi ad internet, come i neuroni di un cervello gigante” (Swartz, 2018).

Il fenomeno dell'essere connessi si lega perfettamente anche alla nostra caratteristica di socialità: noi siamo nati e cablati in primo luogo per comunicare (Gossieaux , 2010). Il dominio digitale non è quindi solo un luogo che ci consente di studiare gli effetti che produce sulla psiche individuale e sociale, ma anche una lettura alternativa dell'inconscio collettivo.

In tal senso, internet ed i social media è come se rappresentassero un'incarnazione corporea/non corporea dell'inconscio collettivo di Jung. È un dominio in cui nulla viene dimenticato e nemmeno può essere cancellato.

L'impossibilità di “cancellare” (Perett, 2018) e dove la reciprocità dello spazio costringe ad un coinvolgimento continuo, dove il nuovo contenuto viene costantemente sviluppato dal vecchio e fuso in uno nuovo, crea uno spazio in cui stiamo “tutti facendo molto di più che contribuire ad una conversazione globale. Stiamo contribuendo a plasmare una nuova cultura globale” (Lickerman, 2011).

Quando Jung parlava di inconscio collettivo intendeva la “totalità di tutti i processi psichici, sia consci che inconsci”, separando il concetto da quello convenzionale della mente, che è generalmente limitata ai processi del solo cervello cosciente (Lovink, 1996).

Secondo Slavoj Žižek ciò che colpisce di più del mondo virtuale e digitale è che “retroattivamente ci consente di scoprire fino a che punto il nostro sé è sempre stato virtuale. Anche l'esperienza di sé più fisica ha in sé un elemento simbolico e virtuale” (ibidem).

Ci sono quindi grandi parallelismi tra ciò di cui parla Jung attraverso la mitologia, il simbolismo e gli archetipi nell'inconscio collettivo che sono facilmente distinguibili dal mondo digitale attuale.

Tuttavia, le nuove influenze e modelli disponibili formano nuovi archetipi e si ripiegano nelle vecchie versioni creando nuove variazioni. Marshall McLuhan aveva anticipato che la “vera forza dei social media sta nell'estensione della persona virtuale degli utenti e nel suo contributo alla formazione di una coscienza globale collettiva”.

Gli autori concludono affermando quanto l'inconscio collettivo contenga l'intera eredità spirituale dell'evoluzione dell'umanità. In questo modo vengono creati internet ed i social media: consapevolmente e inconsapevolmente per creare archetipi, mitologia e influencer. È un luogo in cui condividiamo e partecipiamo oltre che digerire e ingerire.

I continui contributi e algoritmi che si intrecciano in quello che sembra diventare un mondo entropico quantistico, hanno creato questo nuovo inconscio collettivo che tuttavia è creato da noi e anche noi siamo nati in esso.

Ha assunto le manifestazioni fisiche nel linguaggio binario e sia uno spazio fisico sul disco rigido di archiviazione.

Pertanto, concludono gli autori, stiamo contribuendo a creare un inconscio collettivo cosciente digitale che avrà sempre più un ruolo centrale nella definizione e nella creazione della psiche personale di ognuno di noi.

 


Giorgia Lauro
, Psicologa clinica e Sessuologa Socio Ordinario della Società Italiana di Psicologia On Line (SIPSIOL)
Lavora su Pescara e Francavilla al Mare (CH). Si occupa principalmente di clinica per coppie e adulti.

 

Bibliografia

  • Benson, Vladelna, Ronald Tuninga, and George Saridakis. Analyzing the Strategic Role of Social Networking in Firm Growth and Productivity IGI Global, 2017.
  • Carl Gustav Jung, The Persona as a Segment of the Collective Psyche, vol. 8 of Collected Works (Pantheon, 1970), 325, Journal Psyche, “Jungian model.”
  • Carl Gustav Jung, The Structure of the Psyche, vol. 7 of Collected Works(Pantheon, 1970). par. 244. Journal Psyche, “Jungian model.”
  • Francois Gossieaux, The Hyper-Social Organization: Eclipse Your Competition by Leveraging Social Media (McGraw-Hill Education, 2010).
  • Geert Lovink, “Civil society, fanaticism, and digital reality: a conversation with Slavoj Žižek,”C Theory, vol. 2, no. 21 (1996)
  • Hinchliffe, Tim. “How social media affects our collective unconscious.” The Sociable , November 1, 2017.
  • Lickerman, Alex. “Of mirror neurons and social media: how neurology creates culture and social media accelerates it.” Psychology Today , March 20, 2011
  • Luton, Firth. “What is the collective unconscious.” Firth Luton Articles, November 01, 2015. Accessed November 21, 2018.
  • MacGregor, JR. Elon Musk: Moving the World One Technology at a Time. CAC Publishing, 2018.
  • Perett, Kelsey. “Lily Morris, the American Dream, and the collective unconscious of social media.”
  • Martha’s Vineyard: Arts and Ideas. Accessed November 2, 2018
  • Schafer, Stephen Brock. Exploring the Collective Unconscious in the Age of Digital Media. IGI Global, 2016

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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