Nell’emergenza Covid 19, in cui le misure di distanziamento sociale hanno massivamente esposto alle prestazioni psicologiche a distanza, si è scontata una volta di più l’eccessiva prevalenza delle misure formali del Consenso Informato sulla sua -molto più importante- sostanza professionale.
di Catello Parmentola e Elena Leardini
Nell’emergenza Covid 19, in cui le misure di distanziamento sociale hanno massivamente esposto alle prestazioni psicologiche a distanza, si è scontata una volta di più l’eccessiva prevalenza delle misure formali del Consenso Informato sulla sua -molto più importante- sostanza professionale.
Questa prevalenza interpretativa ed applicativa consegue secondo noi tre improvvide assimilazioni: l’assimilazione della Deontologia al Diritto, l’assimilazione del Consenso Informato alla Prestazione a quello al Trattamento Dati, l’assimilazione del valore probatorio al valore di legittimità.
Si tende ad assimilare la Deontologia al Diritto forse in una logica di risparmio: della complessità del pensare deontologico e dell’impegno che esso richiede.
È come se, risolvendola in ‘così dice la Legge’, ci si illudesse di risparmiare sé stessi, la non surrogabile ‘personale’ e soggettiva ricerca ogni volta dei migliori bilanciamenti in una complessità di vertici in gioco, da quello etico a quello sociale, a quello scientifico.
La Deontologia fa parte della Psicologia giuridica perché mutua dal Diritto la sua formulazione in termini giuridici perché possa essere resa certa e applicata ma non la sua sostanza.
Ed i complessi bilanciamenti vanno ogni volta perseguiti, ovviamente, nel perimetro che loro descrive la Legge ma, alla fin fine, è pur sempre il Diritto che si pone al servizio della migliore regola professionale e non la regola al servizio del Diritto.
Ci sono due tipi di Consenso Informato: quello alla Prestazione che ‘discende’ dall’articolo 32 della Costituzione, e quello al Trattamento Dati che ha, come più recente riferimento normativo, il Regolamento europeo del 2018.
Si tratta di due Diritti della Persona che hanno dunque fondamento diverso e tutelano beni giuridici diversi: uno, il diritto all’autodeterminazione in tema di salute e, l’altro, il diritto alla riservatezza dei propri dati personali.
Da queste distinzioni discendono misure formali diverse anche nella loro acquisizione.
Entrambi i Consensi sono Atti di Disposizione dei propri diritti con precisi effetti giuridici di natura contrattuale.
Bisogna, tuttavia, tenere presente che ci sono due tipi di Atti di Disposizione.
Ci sono quelli che producono i loro effetti giuridici per il solo fatto di essere espressi in modo inequivoco.
Essi sono, dunque, Atti già validi e, in questo caso, la forma scritta viene richiesta solo perché siano dimostrabili, a fini, quindi, esclusivamente probatori.
E ci sono poi gli Atti di Disposizione che, invece, per produrre i loro effetti giuridici, debbono essere documentati: in questo caso la forma scritta è indispensabile alla validità dell’Atto e, quindi, viene richiesta ai fini di legittimità.
In assenza di precise disposizioni di legge, la regola generale è che la forma scritta valga esclusivamente ai fini probatori.
Ed anche il Consenso Informato alla Prestazione sanitaria, in assenza di precise norme in merito, è ascrivibile, dunque, al primo tipo di Atti di Disposizione: la sua espressione in forma scritta è legata, quindi, solo alla sua dimostrabilità.
Tuttavia, per (comprensibili) esigenze di certezza, la prassi di raccogliere e documentare il Consenso in forma scritta si è affermata al punto da essere considerata, invece, quale vero e proprio elemento formale imprescindibile.
Eppure già l’art. 1.4 della Legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) prevede che il Consenso Informato sia acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, e sia documentato in forma scritta ma anche, eventualmente, attraverso videoregistrazioni.
Quindi, già la Legge 219 risponderebbe (con le videoregistrazioni) alla domanda relativa all’acquisizione del Consenso alla Prestazione on line e a distanza.
Gli psicologi si arrovellano, dunque, attorno ad una domanda che già aveva normativamente risposta: a volte hanno vezzi più giuridici dei giuristi e si fanno incartare dalla loro stessa rigidità formale.
Purtroppo, si tratta di vezzi non privi di costo perché in ambito sanitario spesso è oggettivamente difficile raccogliere il consenso in forma scritta ed atteggiamenti interpretativi troppo rigidi rischiano di bloccare il sistema, arrecando quel danno alla salute che proprio l’obbligo della forma scritta intendeva tutelare.
L’emergenza Covid 19 ha imposto un distanziamento sociale che ha reso ‘necessarie’ le prestazioni a distanza: è ancora più ineludibile, dunque, riferirsi al fine probatorio e alla sola dimostrabilità del consenso acquisito.
E la documentazione e conservazione, quindi, di un’acquisizione video-registrata, al limite audio-registrata o, estrema ratio, per comportamenti concludenti, consente comunque questa richiesta dimstrabilità.
In conclusione, la soluzione formale migliore sarà sempre quella che, da un lato, potrà garantire all’utente un agevole accesso alle cure e, dall’altro, al sanitario, la serenità di sapere di potere, in qualunque momento, dimostrare il consenso del paziente.
CATELLO PARMENTOLA, clinico, docente, epistemologo, è tra gli estensori del Codice Deontologico degli psicologi italiani. Autore di molti volumi, dirige la Collana Scientifica della Plectica Editrice. |
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