Il cyberspazio può essere inteso come sistema dinamico in cui il generarsi di connessioni ha ripercussioni dirette sulla sfera esterna - società e spazio - e contestualmente su quella interna - Sè e mente - creando un dialogo costante che autoalimenta e autoinfluenza le due sfere.
Di Giorgia Lauro
Il progresso tecnologico e l'avvento di Internet degli ultimi decenni ha completamente reinventato le modalità con cui cerchiamo informazioni, l'intrattenimento e gestiamo i social media, nonché le nostre relazioni. Grazie alla presenza dello smartphone, l'accesso ad internet è sempre più a portata di mano, un gesto onnipresente che permea gran parte delle nostre azioni quotidiane.
Nel contesto delle neuroscienze, neuropsicologia, psichiatria e psicologia si cerca di indagare sempre di più quale sia l'impatto che l'uso di internet produce a livello cerebrale. La plasticità del cervello che consente il dispiegarsi del comportamento adattivo, della cognizione sociale, della tonalità emotiva con cui facciamo esperienza di cose, persone e situazioni risente sempre di più dell'onnipresenza tecnologica, al punto che gli scienziati cominciano a chiedersi quanto la tecnologia è in grado di raggiungere il cervello umano e cambiare le percezioni che abbiamo strutturato del mondo.
Quanto oggi l'identità online, nell'alternarsi dei diversi profili che si possiedono sui social media, corrisponde all'identità reale o, al contrario, quanto l'identità reale assume forme sempre più sfumate sui profili social?
Il cyberspazio diviene quindi arena in cui la ricerca di informazioni, i feedback istantanei, emozioni trasformate in emoji ed emoticon consentono all'utente di sperimentare una gamma diversa di sensazioni. Le persone si ritrovano ad utilizzare questo spazio per esplorare la loro identità, ruoli sociali e ambienti, grazie alle rappresentazioni virtuali di sé stessi o di ciò che in letteratura prende il nome di “avatar” digitale (Przybylski et al., 2012; Slater et al., 2010).
In termini di salute mentale, i nuovi modelli comportamentali promossi dall'utilizzo spesso spasmodico di Internet influenzano gli aspetti cognitivi, percettivi e soggettivi, creando un divario tra la nostra identità pubblica e privata. Se è pur vero che tali modelli possono oscillare tra poli positivi e negativi, determinando effetti similari, allo stesso tempo il mondo online, il cyberspazio e la realtà virtuale possono essere esplorati in modo diverso, per diversi scopi producendo conseguenze diverse.
Nel presente articolo si cercherà infatti di comprendere le caratteristiche del cyberspazio legate agli aspetti clinici e sanitari, la relazione tra cyberspazio e realtà virtuale (Virtual Reality, VR) come risorsa professionale in campo psicoterapeutico e, infine, l'utilizzo del cyberspazio come causa di psicopatologia.
Il cyberspazio
Il termine “Cyberspazio”, è una parola composta in cui l'origine del primo termine, “Cyber”, deriva dalla parola greca “Kybernetes” (κυβερνήτης) e che letteralmente significa “timoniere, pilota di una nave”. Allo stesso tempo, la radice “cyber” è anche correlata a “cyborg”, termine atto a descrivere un organismo bionico, un ibrido tra uomo e macchina, costituito da elementi artificiali, meccanici ed elettronici, in grado di comunicare con l'organismo umano.
Il termine “Cyberspazio” è stato coniato per la prima volta nel 1982, da William Gibson e si riferisce a una realtà virtuale generata dal computer. Secondo Gybson, il cyberspazio è il nome di una realtà non spaziale, caratterizzata dalla capacità di presenza virtuale e interazione tra le persone attraverso lo strutturarsi di “icone e realtà artificiali”. Il cyberspazio è quindi da intendersi come sistema dinamico in cui il generarsi di connessioni ha ripercussioni dirette sulla sfera esterna (società e spazio) e contestualmente su quella interna (Sè e mente), creando un dialogo costante che si autoalimenta e autoinfluenza tra le due sfere.
La sfera interna fa quindi esperienza diretta della topologia di rete dei luoghi virtuali; secondo Fourkas (2004) il cyberspazio potrebbe collegarsi teoricamente sia alla definizione di spazio di Platone inteso come totalità delle possibili relazioni geometriche, o a quella Aristotelica in cui lo spazio è la somma generalizzata di tutti i luoghi (virtuali nel caso specifico).
Da un altro punto di vista, si potrebbe sostenere che le reti di computer determinano un prolungamento ed estensione dello “spazio cognitivo”, ossia di quello spazio costruito intellettualmente e che delinea la conoscenza che si ha degli altri.
Ora è bene chiedersi perché il cyberspazio diviene anche lo spazio di tutte quelle persone che non ricercano un aiuto professionale. Indubbiamente, come evidenziato in letteratura, lo stigma connesso alla malattia mentale, insieme agli aspetti economici e di tempo, rappresentano gli ostacoli più grandi alla ricerca di un trattamento di salute mentale. Tutto questo però genera ripercussioni sul piano sociale, in quanto una psicopatologia non trattata produce conseguenze non solo sul singolo individuo, ma anche sul sistema familiare e sociale, sia in senso psicologico che economico.
Il cyberspazio offre invece la riservatezza necessaria, rendendolo una prima scelta perfetta per cercare informazioni, in modo autonomo, sulla salute mentale. La disponibilità di informazioni presenta però una controparte spesso trascurata come la scarsa qualità dei contenuti, la mancata accuratezza delle informazioni, e la poca conoscenza su quali possano essere considerate fonti attendibili.
A tutto questo, secondo Sheng e Simpson (2013) bisogna aggiungere la mancanza di alfabetizzazione informatica della popolazione anziana. Secondo le ricerche, la prima forma di aiuto che si cerca online sono i cosiddetti “gruppi di supporto”.
Facebook, con i suoi 2,3 miliardi di utenti (Meira, 2018), è il social network più utilizzato. In linea generale, la letteratura scientifica condivide l'idea che il supporto sociale interpersonale produca benessere psicologico, migliorando la qualità della vita (Jensen et al., 2014; Herbert & Cohen, 1993). Allo stesso modo, non vi sono evidenze scientifiche, se non in conflitto, che attestino che lo stesso effetto possa essere mediato dall'utilizzo dei social network ( McCloskey et al., 2015; Nabi et al., 2013).
Ciò su cui vi è invece un accordo unanime è come lo spazio virtuale possa dar vita a scenari psicologici negativi. Basti pensare a episodi di cyberbullismo, cybersex, cyberstalking e via dicendo, che non solo generano conseguenze psicopatologiche gravi, ma spesso fungono da antecedenti di episodi tragici tra cui il suicidio.
Restando sul versante psicopatologico, la disponibilità di informazioni, la vasta gamma di contenuti, spazi di intrattenimento video o interattivi, si pongono come predittori di comportamenti a rischio capaci di generare dipendenza; tra queste, si possono citare la dipendenza da gioco online, il gambling, la dipendenza da internet e così via.
Il cyberspazio è quindi anche da intendersi come spazio potenziale in cui comportamenti patologici possono essere promossi o rinforzati, e le cui ripercussioni producono problemi nello spazio reale in termini di salute fisica, emotiva, cognitiva e mentale. Allo stesso tempo, sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere al meglio la relazione particolare che sussiste tra uso di internet e psicopatologia.
La realtà virtuale
Le realtà postmoderne veicolano sempre più un messaggio molto chiaro, ossia la realizzazione di sé. Questo produce nella gioventù moderna una ricerca costante dell'identità personale. Il primo autore a parlare di identità percettiva fu Sigmund Freud (1991); Karl Jaspers (1997) definì l'identità come una delle quattro caratteristiche della coscienza di sé. È stato però Erik Erikson (1996) a definire l'identità come un sentimento ininterrotto basato sull'accettazione di tutto ciò che si riconosce come parte del proprio Sè e della propria persona.
Il costrutto di identità può anche traslarsi nella realtà online sotto le vesti di avatar. Il cyberspazio e la realtà virtuale offrono infatti numerose possibilità di esperire nuove attività e diversi piaceri. L'avatar non è altro che la costruzione virtuale del proprio Sè idealizzato (Przybylski et al., 2012).
Lam e colleghi (2013), ritengono che i mondi virtuali e le esperienze che maturano al loro interno possono essere letti come catalizzatori e innesco per lo sviluppo di alcuni disturbi mentali. Fortunatamente, lo stesso meccanismo può condurre nella direzione opposta, in quanto l'identificazione dell'utente con l'avatar virtuale può influenzare i processi legati alla percezione di sé, credenze, stili di pensiero ed emotivi appartenenti alla sfera reale.
Si può quindi supporre che se l'ambiente online è in grado di soddisfare i bisogni psicologici tipici dell'esperienza di vita quotidiana, determinando un aumento della percezione di autonomia, competenza e senso di connessione, automaticamente possono diminuire gli squilibri tra tratti reali e idealizzati di una persona, promuovendo una generale soddisfazione con la propria vita (Rigby & Ryan, 2011).
Nel dettaglio, quando si parla di realtà virtuale si fa riferimento ad una simulazione 3D del mondo o dell'ambiente reale generata dal computer che può essere esplorata interattivamente attraverso dispositivi disponibili come un casco, guanti e via dicendo. La realtà virtuale è stata sperimentata primariamente in ambito militare, attraverso la progettazione di giochi con esperti di software specifici atti a soddisfare obiettivi terapeutici. Nel contesto clinico, la realtà virtuale è stata utilizzata come strumento efficace nella prevenzione delle malattie fisiche, emotive, nonché nei processi di riabilitazione.
Il suo successo in ambito clinico è dovuto al fatto che l'esperienza virtuale si presenta come “ambiente di potenziamento”. A partire da tale constatazione, i ricercatori hanno anche cercato di delineare il potenziale dei giochi virtuali in altre dimensioni inerenti la salute, quale il benessere, la soddisfazione, il suo valore nell'area della cognizione, risoluzione dei problemi, processo decisionale, apprendimento affettivo e sociale. In una ricerca condotta da Dorman e colleghi (2013) e pubblicata sulla rivista “Games and Culture”, si è cercato di comprendere le modalità con cui poter incorporare le emozioni nei giochi e quali meccanismi dei giochi possono sostenere l'apprendimento affettivo.
Altre ricerche si sono invece soffermate sul miglioramento delle capacità introspettive, come migliore comprensione delle emozioni e apprendimento socio-emotivo. Queste componenti, secondo Gale e colleghi (2014) possono influenzare positivamente lo spettro della salute mentale e porsi come elementi di supporto sociale. Tra le altre caratteristiche positive, la realtà virtuale può anche incrementare i livelli di soddisfazione soggettiva, il benessere e determinare miglioramenti nell'area cognitiva, affettiva, apprendimento sociale, risoluzione dei problemi e comportamento prosociale nella vita reale (Rosenberg et al., 2013; Greitemeyer &Osswald 2011).
La realtà virtuale è stata anche applicata in contesti di assistenza sanitaria come procedure chirurgiche, terapia medica, medicina preventiva, riabilitazione fisica e cognitiva, istruzione e formazione medica. Oltre agli obiettivi terapeutici, la realtà virtuale è utilizzata insieme a scansioni cerebrali attraverso risonanza magnetica funzionale (fMRI) per lo studio dei correlati neurali dei disturbi psicopatologici e per studiare l'impatto della terapia su schemi di attività cerebrale specifici.
L'applicazione della realtà virtuale si muove quindi su più livelli: dalla valutazione delle capacità cognitive alla riabilitazione neurocognitiva di specifiche disabilità derivanti da lesioni cerebrali o ictus (Shapi'i et al., 2015), riabilitazione cognitiva e schizofrenia (La Paglia et al., 2013). Nel contesto psicoterapeutico, Riva (2005) ritiene che l'utilizzo della realtà virtuale come strumento si dimostri altamente efficace.
L'esposizione graduale all'ambiente virtuale è utilizzato per il trattamento di una serie di psicopatologie legate allo spettro ansioso, quale acrofobia (paura dell'altezza), aracnofobia (paura dei ragni), fobia sociale, claustrofobia, disturbo da attacco di panico, agorafobia (Parsons & Rizzo, 2008) e vie dicendo. Inoltre la realtà virtuale facilita i processi di ristrutturazione cognitiva e desensibilizzazione nella preparazione a esperienze considerate stressanti o trattamento di sintomatologia da stress post-traumatico (McLay et a., 2011; Riva et al., 2010).
Per le psicopatologie che riguardano il corpo, la letteratura sul tema sostiene che l'utilizzo della realtà virtuale in abbinamento alla psicoterapia cognitiva-comportamentale produce cambiamenti significativi nel trattamento di obesità, disturbo da alimentazione incontrollata, anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da dismorfismo corporeo (Marco et al., 2013; Cesa et al., 2013); allo stesso modo, la realtà virtuale può essere applicata anche in quadri psicopatologici in cui sono presenti comportamenti di dipendenza legati all'uso di sostanze, nonché nel trattamento del gioco d'azzardo patologico.
Il potenziale della realtà virtuale risiede nella possibilità di strutturare un ambiente sicuro in cui il fattore determinante è dato dal livello di immersione, descritto come il livello di fedeltà sensoriale offerto dal sistema di realtà virtuale (Slater, 2003). La possibilità di manipolare l'ambiente virtuale in una modalità che non è consentita nel mondo reale, favorisce una condivisione dell'esperienza tra paziente e terapeuta, differente, in quanto vi è la possibilità di provare le emozioni in “modo controllato”. Lo psicoterapeuta ha un maggior controllo su tutte le variabili, in quanto possono essere controllate la quantità di interazione ed esposizione, ripetere gli stimoli e le attività in modo obiettivo, nonché misurare le prestazioni e le risposte psicologiche.
Secondo Gorini (2008), il processo terapeutico non dipende dalla capacità di visualizzazione ed immaginazione del paziente; sembra infatti che la realtà virtuale sia altamente motivante per i pazienti e che vi sia meno trasfert negativo. Sebbene la realtà virtuale sia caratterizzata da una tecnologia sofisticata, i trattamenti terapeutici possono essere eseguiti anche tramite altri canali accessibili, come la posta elettronica, la psicoterapia via chat e/o in videoconferenza (Germain et al., 2010; Hsiung, 2000).
In sintesi, grazie allo sviluppo tecnologico il cyberspazio è diventato un ambiente in cui poter fornire assistenza clinica e sanitaria. Tuttavia, ciò che si rende necessario è una formazione sia per i professionisti che per il pubblico, in quanto imprescindibile per comprendere come muoversi in un mondo su cui non si ha il totale controllo. Allo stesso modo, tali sviluppi tecnologici e la nascita di nuove applicazione porteranno inevitabilmente a nuove questioni bioetiche che dovranno necessariamente essere affrontate.
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Giorgia Lauro, Psicologa clinica e Sessuologa Socio Ordinario della Società Italiana di Psicologia On Line (SIPSIOL) Lavora su Pescara e Francavilla al Mare (CH). Si occupa principalmente di clinica per coppie e adulti. |