La dimensione virtuale dell'era tecnologica solleva ormai da diversi anni nuovi dilemmi etici e clinici rispetto al mantenimento dei confini professionali. La disponibilità offerta dai motori di ricerca di reperire informazioni anche sul clinico è cresciuta rapidamente. Da questo punto di vista è quindi importante chiedersi come l'avere tutto a portata di un click produca ripercussioni nella categoria dei professionisti afferenti alla salute mentale.
Di Giorgia Lauro
Sono ormai 16 anni che Facebook fa parte della nostra routine quotidiana. La prima menzione che Facebook ha ricevuto nella letteratura medica risale al 2008 (Ybarra & Mitchell, 2008), quando i ricercatori hanno cercato di comprendere quanto i social network producano un effetto sui giovani minorenni.
In un altro studio condotto presso l'Università della Florida (Thompson et al., 2008), i ricercatori hanno scoperto che circa il 65% degli studenti di medicina aveva un profilo su Facebook. Di questi la maggior parte avevano fotografie che li ritraevano in situazioni in cui era presente alcool, messaggi sessualmente espliciti, linguaggio volgare come commenti alle foto e via dicendo.
Per approfondire quanto emerso da questa prima ricerca, altri autori (Chretien et al., 2009) hanno condotto un sondaggio tra i presidi di alcune Facoltà di medicina americane. Dei 78 presidi intervistati, il 60% ha riferito di episodi di studenti che pubblicavano online contenuti non professionali e che il 13% di questi avevano violato la riservatezza dei pazienti online nell'anno precedente.
Nel presente articolo, gli autori (Gabbard et al., 2011) hanno cercato di descrivere gli aspetti clini ed etici sull'uso di internet, nel tentativo di educare i professionisti sulle strategie preventive da adottare. Comprendere come applicare i confini professionali alla categoria degli psicologi è, secondo gli autori, imprescindibile anche perché tali limiti sono generalmente più rigorosi che in altri contesti medici.
Social network, blog e motori di ricercatori
Facebook è indubbiamente il social network ad oggi più utilizzato. All'inizio del 2009, aveva oltre 150 milioni di utenti attivi con età superiore ai 30 anni (Grossman, 2009). Facebook rappresenta pertanto il punto di partenza che gli autori hanno utilizzato per illustrare alcune preoccupazioni in merito al suo utilizzo.
La struttura sociale ricreata su Facebbok può compromettere la privacy dei pazienti così come quella dei professionisti, in quanto, primariamente, ciò che può accadere è che un paziente possa inviare una “richiesta di amicizia” al proprio terapeuta.
Qualora venisse accettata, entrambe le parti danno vita ad un nuovo rapporto, più intimo, in quanto si ha la possibilità di visualizzare foto, gruppi di interessi, post pubblicati e altri contenuti. La possibilità di entrare a contatto con tali informazioni genera un processo di rivelazione di Sè molto più ampio rispetto a quanto può avvenire in modo eticamente orientato all'interno di una relazione terapeutica.
Un'altra preoccupazione che solleva Facebook è la potenziale probabilità di violare la privacy del paziente in un contesto non clinico. Uno stato, o un post su un paziente problematico può contenere abbastanza informazioni da renderlo riconoscibile e quindi comprometterne la riservatezza.
Sebbene nella pratica clinica spesso si possa utilizzare un caso clinico come esempio, le informazioni sono mascherato e l'intento di base è educativo. Anche se Facebook dà la possibilità di gestire gli aspetti relativi alla privacy, capita a molti che il contenuto del proprio profilo sia disponibile per tutti gli utenti, siano essi amici o meno (Stone, 2009).
Infine, anche per tutti quei professionisti che adottano tutte le funzionalità legate alla privacy, capita che l'immagine del profilo sia accessibile a tutti. Inoltre, gli utenti che costruiscono un profilo su Facebook inseriscono comunemente il loro orientamento sessuale, lo stato civile, l'età, la città natale e via dicendo, ossia informazioni tipicamente non condivise con i pazienti.
Ovviamente, oltre Facebook, ad oggi Internet è popolato anche da siti di incontri online. In queste situazioni, l'utente crea un profilo, inserisce una fotografia con l'obiettivo di attirare potenziali partner. A differenza dei social network, dove le informazioni inserite devono essere reali, su un sito di incontri si può scegliere anche di inserire un nickname al posto dei dati reali.
Il rischio di avvalersi di canali di questo tipo per un professionista della salute mentale è la probabilità che un paziente possa anche utilizzare siti di questo tipo, riconoscendo il proprio terapeuta e apprendere così informazioni sensibili svelate involontariamente.
Blog
Se Facebook o i siti di incontri online espongono a problemi di accessibilità alle informazioni, il blog si presenta come molto più problematico da questo punto di vista, in quanto un blogger tende a condividere idee e collegamenti web con altri siti.
In un sondaggio condotto nel 2008 sui blogger sanitari (Kovic et al., 2008), il 99% ha dichiarato di aver ricevuto attenzione al proprio blog grazie ad una menzione o condivisione dei loro contenuti da parte di altri blogger. Inoltre, il 74% sosteneva che la motivazione per cui avesse un blog era “condividere conoscenze e competenze pratiche”, mentre un altro 56% ha espresso il desiderio di “influenzare il modo con cui pensano le persone”.
Pertanto, se è più probabile che un utente di Facebook possa leggere pensieri o stati d'animo sul profilo di un altro utente, un blogger è più incline a scrivere contenuti molto più lunghi concentrandosi su uno o più argomenti. Questa tipologia di attività potrebbe creare maggiori opportunità per i professionisti di pubblicare contenuti potenzialmente problematici soprattutto se vengono esposti casi clinici o informazioni non professionali rispetto ad altre attività in cui sono impegnati.
Il Blog lascia inoltre un'impronta più permanente su internet. Un utente, su un profilo Facebook non può effettuare una ricerca rapida per vedere cosa lui o lei ha scritto in passato, ma deve “scrollare” la pagina per visualizzare i post più vecchi.
Al contrario, nei blog molto spesso si possono fare ricerche sulla base di date o parole chiave, rendendo così il tutto più facilmente accessibile. Si possono inoltre creare altre situazioni in cui un altro sito web decide di creare un collegamento al blog del professionista, facendo riferimento ad esso come autore originale. In una situazione come questa, se in seguito il professionista decide di rimuovere quel contenuto, ormai non ha più il controllo su ciò che un altro blogger ha pubblicato su un sito diverso.
Motori di ricerca
La ricerca attraverso piattaforme come Google, Bing o Yahoo solleva problemi diversi nel regno della privacy rispetto al blog o i social network. La scelta di condividere informazioni personali su blog o profili social si rende disponibili per tutti quei soggetti che effettuano ricerche mirate o che sono spinti da intenti ben precisi.
Psicoanalisti e psicoterapeuti di diversi orientamenti hanno a lungo sottolineato l'asimmetria della divulgazione nel rapporto clinico-paziente e operato con il presupposto che poche devono essere le informazioni personali condivise con il paziente.
Allo stato attuale, molti pazienti, prima di incontrare il clinico, si rivolgono a Google, cercano loro foto o informazioni sul loro stato civile. Nell'ambito delle loro ricerche, qualora il clinico facesse parte di quei siti in cui vengono presentati diversi professionisti divisi per categoria professionale, il paziente può anche trovarsi di fronte a valutazioni effettuate da terzi sul singolo professionista.
Su questi siti possono essere presenti recensioni positive, ma anche negative, generando così nell'utente una percezione distorta di quella che potrebbe essere la competenza del clinico.
La possibilità di reperire informazioni su internet che sono pubbliche potrebbe quindi diventare un ostacolo alla terapia, così come una violazione della privacy del clinico. Le differenze tra motori di ricerca, social network e blog sono significative, in quanto il clinico non ha scelta in merito alla consultazione di ipotetico materiale presente su internet.
In sintesi i motori di ricerca hanno alterato il quadro concettuale di privacy, anonimato e divulgazione di Sè nel contesto clinico. Pertanto, i singoli professionisti non possono più percepirsi come uno “schermo vuoto” per i pazienti, ma devono presumere che questi ultimi sanno molto su di loro e devono quindi ripensare che la loro vita privata non è poi così privata come pensano.
Implicazioni
Le questioni relative ai confini professionali nel cyberspazio tendono ad essere distribuite in tre macroaree: preoccupazioni etiche, problemi di professionalità e dilemmi clinici.
Partendo dalla prima, Beauchamp (2009) ha delineato quattro gruppi di principi morali che sono alla base del codice di condotta etico biomedico:
- rispetto per l'autonomia, in cui si riconosce che i pazienti sono liberi di prendere decisioni;
- non maleficenza (il principio fondamentale per evitare il rischio di danni);
- beneficenza, in cui si considera il rapporto tra rischi e benefici;
- giustizia, in cui i rischi ed i benefici sono distribuiti in modo equo.
Alcune delle situazioni descritte precedentemente rappresentano violazioni etiche. Ad esempio, raccontare un caso clinico su un blog o su un sito di social network pur omettendo i dati sensibili ha il potenziale di danneggiare i pazienti o le loro famiglie. La possibilità di identificarsi attraverso le caratteristiche cliniche della condizione possono far trapelare l'identità deò paziente.
Sebbene esistano linee guida che suggeriscono le modalità per farlo proteggendo la riservatezza del paziente nella stesura di articoli scientifici (Gabbard, 2000), l'esposizione improvvisata che si verifica sui blog ed i social netowrk generalmente non prendono in considerazioni questi fattori.
Un'altra preoccupazione riguarda le relazioni multiple. Se un paziente è amico del clinico su Facebook, o viceversa, la specifica designazione “amico” compromette i confini del rapporto clinico-paziente.
La possibilità di una relazione virtuale può anche inficiare il principio etico di non maleficenza in quanto se il paziente è anche amico del clinico sarà più difficile fare un corretto uso del principio. Pertanto, anche se il clinico può operare le doverose precisazioni sul suo ruolo nella vita del paziente, ossia quello di professionista, il paziente può comunque dare un peso ed un senso diverso all'amicizia stabilita nel cyberspazio.
Un altro principio etico, il rispetto dell'autonomia, può venir fuori quando i pazienti ricercano informazioni tramite Google. Gli psicologi, psicoterapeuti e/o psichiatri che sono abituati all'anonimato e alla privacy, sentendosi “violati”, possono iniziare a pensare che i pazienti non debbano intromettersi nella loro vita privata.
Allo stesso tempo, i clinici non possono porre vincoli alla libertà dei pazienti di cercare informazioni che su internet sono di dominio pubblico. Il termine violazione di confine in questo caso non si può applicare al paziente, in quanto egli non ha un codice etico e quindi non viola i confini professionali quando cerca informazioni sul proprio clinico.
Pertanto, i professionisti che avvertono un'invasione del proprio spazio personale dovrebbero affrontare questo problema di controtransfert con una supervisione o trattamento personale con il fine ultime di esplorare successivamente con i pazienti i significati sottostanti la loro curiosità.
Il cyberspazio ha quindi creato un dilemma che però i clinici devono risolvere dentro di Sè.
Problemi di professionalità
Alcuni dei fenomeni associati ai blog e ai siti di social netowrk rientrano nell'area della professionalità. Fare informazione indubbiamente aumenta la diffusione delle proprie competenze.
Una definizione utile sulla professionalità proviene dall'American Board of Internal Medicine, che evidenzia come la professionalità “richiede al medico di servire gli interessi del paziente al di sopra del suo interesse personale. La professionalità aspira all'altruismo, alla responsabilità, all'eccellenza, al dovere, all'onore, integrità e rispetto per gli altri”.
Alcuni preferiscono pensare che la professionalità sia più una questione di come ci si comporta con i pazienti, i colleghi e altri nei luoghi pubblici. Con l'espansione di internet, tutti i clinici devono ricordare che, anche se ancora in formazione, hanno un ruolo professionale non solo nella vita reale, ma anche quando non sono a lavoro.
Foto rese pubbliche che suggeriscono presenza di alcool o altre sostanze, pur essendo al di fuori dell'orario di lavoro, può generare un certo tipo di effetto su chi le guarda.
Allo stesso modo, fare commenti negativi su altri colleghi pubblicamente diventa l'equivalente di una denuncia pubblica. Anche il parlare di pazienti in generale potrebbe apparire poco professionale se si esprimono pareri personali che esulano dall'aspetto professionale.
Sebbene in tali casi non si stia violando un principio etico specifico, sicuramente gli standard professionali vengono meno.
Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, gli autori dell'articolo hanno delineato alcune raccomandazioni per la categoria professionale. Primariamente ritengono che i professionisti della salute mentale che utilizzano siti di social network dovrebbero attivare tutte le impostazioni di privacy disponibili (Guseh, 2009; Gorrindo, 2008). Le ricerche sul web dovrebbero essere condotte periodicamente per monitorare false informazioni o fotografie indesiderate.
I seguenti elementi non dovrebbero essere inclusi nei blog o nei siti web professionali:
- informazioni sui pazienti e altro materiale riservato;
- commenti dispregiativi sui pazienti o colleghi;
- commenti su cause legali, casi clinici o azioni amministrative in cui si è coinvolti;
- fotografie che possono essere percepite come poco professionali.
Si dovrebbe inoltre evitare di diventare “amici” su Facebook, o di entrare in altre doppie relazioni su internet con i pazienti. Uno strategia potrebbe essere quella di avere due profili separati, quello personale e quello professionale.
Una raccomandazione viene anche espressa per gli istituti di formazione che dovrebbero istruire i loro allievi sulla professionalità e sulle questioni di confine come parte della loro professionalità, assistendoli nella loro padronanza della tecnologia.
Tutti gli istituti di formazione dovrebbero sviluppare politiche per gestire le violazioni etiche o professionali attraverso l'attività su internet.
Infine, la formazione in psicoterapia dovrebbe includere la considerazione dei dilemmi clinici presentati a partire dai social network, ai blog fino ai motori di ricerca, nonché potenziali problemi di confine.
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Bibliografia
- Beauchamp TL: The philosophical basis of psychiatric ethics. In: Bloch S, Green SA, Eds. Psychiatric Ethics. New York, N.Y. Oxford University Press, 2009, pp 25– 48
- Chretien KC, Greysen SR, Chretien JP, et al: Online posting of unprofessional content by medical students. JAMA 2009; 302:1309 –1315
- Gabbard GO: Disguise or consent. Problems and recommendations concerning the publication and presentation of clinical material. Int J Psychoanal 2000; 81. Pt 6:1071–1086
- Gorrindo T, Groves JE: Web searching for information about physicians. JAMA 2008; 300:213–215
- Grossman L: Why facebook is for old fogies. Time Magazine 2009; 173:94
- Guseh JS 2nd, Brendel RW, Brendel DH: Medical professionalism in the age of online social networking. J Med Ethics 2009; 35:584 –58
- Kovic I, Lulic I, Brumini G: Examining the medical blogosphere: an online survey of medical bloggers. J Med Internet Res 2008; 10(3):e28
- Stone B: Is Facebook growing up too fast? New York Times, March 29, 2009, Sunday Business, p.1
- Thompson LA, Dawson K, Ferdig R, et al: The intersection of online social networking with medical professionalism. J Gen Intern Med 2008; 23:954 –957
- Ybarra ML, Mitchell KJ: How risky are social networking sites? A comparison of places online where youth solicitation and harassment occurs. Pediatrics 2008; 121(2):e350 – e357