La storia della liaison tra Psiche e Schermo è molto antica. Riguarda la percezione, le emozioni, la comunicazione interpersonale, e molto altro
di Rosella De Leonibus
Psiche e schermo, l’una vive dentro di noi, l’altro invece al di fuori. L’una è intangibile, l’altro fa parte del mondo materiale, anche nella sua versione elettronica. Ma la storia della liaison tra questi due è molto antica. Riguarda la percezione, le emozioni, la comunicazione interpersonale, e molto altro. Potremmo cominciare dal mito della caverna di Platone, ma restiamo invece più nei paraggi della contemporaneità.
Era il 1898, quando Sigmund Freud pubblicò per i tipi di Franz Deuticke la prima stampa della sua opera “L’interpretazione dei sogni”. Per l’edizione italiana si dovette attendere fino al 1948, tra parentesi. Questo testo, uno dei caposaldi della teoria psicanalitica, rappresentò la prima testimonianza di un lungo e documentatissimo studio, che mostrò al mondo come nella nostra mente ogni notte venga proiettato più di un film, costruito con un linguaggio più che altro fatto di immagini, che prende spunto dalla vita quotidiana, ma poi subito la altera, la trasforma e la ricombina in modi inaspettati, per raccontare alla coscienza della veglia cosa si agita nelle profondità nel mondo interiore.
Non a caso, forse, solo poco più di due anni prima, i fratelli Lumière il 28 dicembre 1895 fecero proiettare al Cafè de Paris il loro primo film, davanti ad un pubblico attonito e meravigliato. Si trattava in realtà di brevi spezzoni di vita quotidiana, quelli che oggi chiameremmo “corti”, ma talmente efficaci nella loro assoluta novità, che il 30 dicembre 1995 il quotidiano Le Radical descriveva così l’esperienza del primo cinema: “…a grandezza naturale, con tutta l’illusione della vita vera”. Illusione o realtà? Quale mix inusitato delle due era stato proiettato e visto sullo schermo? E continuava: “…quando questi apparecchi che fanno vedere le persone in movimento diventeranno disponibili al grande pubblico, la morte cesserà di essere assoluta”.
Già fin da allora, le persone che, trovandosi per la strada al momento delle riprese, sapevano di essere state filmate, correvano poi al cinema a rivedersi. Potenza della rappresentazione, che aggiunge realtà alla realtà, specialmente quando si tratta di poter riconoscere la propria immagine. Tanto che i fratelli Lumière raccomandavano ai propri operatori: “Fatevi notare, quando fate le riperse, così verrà più gente al cinema!”
DAI LUMIÈRE AL WEB
Facciamo un salto di più di 120 anni e arriviamo al 2020: la prima realtà di massa della comunicazione interpersonale attraverso ogni tipo di schermo, dal computer del lavoro al portatile di casa, fino al tablet e allo smartphone. La sofferenza e il senso di abbandono del distanziamento sociale e delle limitazioni agli spostamenti e a ogni forma di aggregazione sono state sostituite dalla nostra presenza sugli schermi. Amati o odiati, li abbiamo dovuti sdoganare, per ogni fascia di età, come strumento indispensabile per lavorare, studiare, comunicare. Il Covid 19 ha prodotto almeno questa collateral beauty, la nostra presenza gli uni agli altri, le une alle altre, attraverso lo schermo. Forse aveva ragione Le Radical: la morte, o per lo meno la sua pesante minaccia, ha cessato di essere assoluta attraverso la comunicazione on line…
Lo schermo però, soprattutto quello delle nostre giornate al computer, ha una sua caratteristica: ci rappresenta, e quindi ci regala questa vita virtuale aggiuntiva, a mezzo busto. I mezzi busti erano già una consuetudine nella rappresentazione delle immagini delle persone: dalle teste dei filosofi, artisti, politici dell’antica Grecia e dell’antica Roma, fino ai ritratti rinascimentali dei potenti, poi via via anche il popolo entra nei ritratti, ai tempi dei fiamminghi, e quindi nell’800 con Van Gogh… e più avanti i ritratti fotografici e le foto tessera del ‘900, e infine il cinema, quanti primi e primissimi piani, per arrivare alle foto del profilo su whatsapp e sui social, fino ad arrivare alla comunicazione on line sullo schermo del pc e sulle immagini a francobollo delle piattaforme web.
Sullo schermo della nostra ormai pervasiva presenza on line troviamo un taglio immagine specifico: mezza figura, primo piano, primissimo piano. La mezza figura è quella tagliata alla vita o pochissimo più in basso, e nel linguaggio del cinema viene utilizzata per lo più per mostrare l’interazione tra due personaggi. Il primo piano invece, come il mezzobusto dell’antichità, è specifico per raccontare qualcosa in più della psicologia del personaggio, di cui rileva le tensioni, i micromovimenti della testa, lo sguardo, e ne mostra i sentimenti. Quando è inquadrato invece solo il volto, l’intensità psicologica è presente al massimo, e sono rilevabili anche le più piccole variazioni mimiche.
La psiche viene quindi rappresentata sullo schermo, così come nei secoli precedenti veniva rappresentata sulla scena di un teatro, e poi dal ‘900 sullo schermo di una sala da proiezione cinematografica e sul televisore di casa? Ci sono grandi differenze, che cercheremo di cogliere.
SPETTATORI E ANCHE ATTORI: SPETTATTORI?
A teatro lo spettatore ha l’intera scena nel proprio campo visivo. Può scegliere dove dirigere l’attenzione, e selezionare di volta in volta l’elemento in figura, lasciando sullo sfondo gli altri stimoli percettivi. Certamente la scenografia, la sceneggiatura e la regia, e soprattutto la presenza in scena dei personaggi in azione, guidano l’occhio dello spettatore, ma è pur vero, e molti registi teatrali utilizzano questa possibilità, che, mentre sul proscenio sta avvenendo una azione, altro si compie e si prepara sullo sfondo, come una arrière pensée suggerita allo spettatore. Le dimensioni e le proporzioni sono quelle naturali, a meno che non vengano amplificate con costumi e macchinari, il campo visivo dello spettatore è fisso, e all’interno della scena la narrazione è sequenziale, senza stacchi.
Nel linguaggio cinematografico invece, sul maxischermo dalla sala da proiezione, ma anche sullo schermo della tv di casa, le dimensioni e le proporzioni sono alterate, e le immagini sono presentate con campi e piani variabili e, rispetto al teatro, è il regista che “taglia” e monta la sequenza delle immagini, guidando in modo definito l’occhio dello spettatore e imponendogli così sia la selezione percettiva, che il ritmo e gli stacchi, i cambi di inquadratura e i salti narrativi. Ed è proprio in questo linguaggio visivo che il cinema è meravigliosamente vicino al sogno, parla la stessa lingua e muove le stesse emozioni. In fondo il sogno cosa è, se non la proiezione di un film a sorpresa nel nostro home theatre notturno personale? Anche lì il regista non siamo noi, è l’inconscio, e noi siamo spettatori, emozionalmente partecipi fino alle viscere.
Sullo schermo nel web invece, ognuno dei soggetti interagenti rispetto alla selezione percettiva ha come limite solo le prestazioni della piattaforma: posso scegliere dove dirigere la mia attenzione rispetto ai dettagli del volto del mio interlocutore che vedo sullo schermo durante una videochiamata, mentre a sua volta l’altra persona, e io stessa, possiamo ciascuno scegliere se inquadrare noi stessi per es. da vicino o da lontano, di fronte o di tre quarti, in piena luce o in penombra, con questo o quell’altro sfondo, e col nostro movimento e la nostra mimica attivare una attenzione su un dettaglio. Siamo entrambi contemporaneamente attori e spettatori, esattamente come avviene rispetto alla componente visiva della comunicazione in presenza. Inoltre possiamo scegliere se mettere a schermo intero il nostro interlocutore, e quindi comunicare come se fossimo l’uno di fronte all’altro, oppure possiamo visualizzarci entrambi sullo schermo, come se fossimo seduti l’uno accanto all’altro. Questo diverso assetto ha un valore molto differente in termini prossemici, comunica due tipologie differenti di rapporto, provare per credere…
Sulle piattaforme collettive possiamo compiere qualche opzione in più rispetto alla modalità di visualizzazione, configurando autonomamente diversi modi di essere in ascolto e in compresenza.
PRESENTI NELLO SCHERMO DEL WEB
Ma la vera novità della psiche nello schermo è la comunicazione a due vie, cioè la possibilità di una interazione simultanea attraverso il nostro stesso volto. A teatro e al cinema, la psiche è in scena nello schermo o sul palcoscenico attraverso processi di identificazione e proiezione rispetto alla narrazione rappresentata: lo spettatore si riconosce e vive emozioni in relazione al contenuto delle immagini che sta guardano. Nel web invece è possibile una interazione diretta: ognuno dei presenti, nei limiti delle piattaforme utilizzate, può essere autore di contenuti propri, e il gioco delle identificazioni e delle proiezioni è reciproco, come avviene nella comunicazione in presenza.
L’altra particolarissima novità della psiche nello schermo nel 2020 è stata l’abituarsi a vedere anche se stessi, la nostra immagine in piccolo, mentre siamo in interazione video con gli altri. Nello stesso campo visivo con cui posso inquadrare l’altro, ci sono anche io! Anche io mi vedo, come se fossi allo specchio, mentre guardo te. E allora nasce un nuovo ritmo aggiuntivo nel movimento del mio sguardo: posso guardare te, e ogni tanto posso guardare anche me, e sperimentare questo surplus percettivo, questa realtà intersoggettiva aumentata, che non esiste in nessuna altra interazione comunicativa dal vivo, eccezion fatta per quando siamo dal parrucchiere e forse in una sala di danza con gli specchi. Per di più, rispetto alle diverse configurazioni delle piattaforme, posso vedermi in versione specchio (esattamente come allo specchio) o in versione “doppio”, cioè come realmente gli altri mi vedrebbero se fossimo in presenza. Da far girare la testa!
Di questo vedersi mentre si comunica, e dei movimenti di rispecchiamento empatico che possono generarsi via web attraverso l’esposizione del proprio e altrui volto, parleremo la prossima volta.
pubblicato nella rivista “Rocca” n. 9 del 1 maggio 2021, rubrica “I volti del disagio”