Il social network offre la possibilità di creare un profilo personale in cui poter parlare di sé. In questo articolo si cercherà di promuovere una riflessione per un uso consapevole dei profili social al fine di evitare quei comportamenti online che possono dare origine a violazione dei confini e l'instaurarsi di relazioni multiple.
Di Giorgia Lauro
Il XXI° secolo ha inaugurato l'era dei Social Network Sites (SNS), termine con il quale si definiscono quei servizi web-based che consentono alle persone di costruire un profilo pubblico o semi-pubblico all'interno di un sistema limitato. Secondariamente i social Network consentono di creare un insieme di relazioni e connessioni con altri utenti che possono variare per struttura o obiettivo in base al sito (Adamic et al., 2003)
Una delle caratteristiche salienti dei siti di social network è la possibilità che viene offerta agli utenti di articolare e rendere visibili elementi appartenenti alla sfera della vita privata. Ovviamente, in base alla piattaforma di riferimento, si possono implementare o limitare una serie di azioni.
Ma ciò che li accomuna è la possibilità di creare un profilo personale in cui “poter parlare di Sè” (Sundén, 2003). Questo è il motivo per cui, all'inizio dell'iscrizione ad un sito di social network vengono richieste alcune informazioni di base come l'età, il genere, il luogo di residenza, gli interessi e via dicendo. A questo si aggiunge la possibilità (spesso incoraggiata) di caricare una foto del profilo per rendersi riconoscibile dagli utenti.
Alcuni siti consentono agli utenti di migliorare i propri profili caricando contenuti multimediali o modificando l'aspetto del proprio profilo. Altri, come Facebook, consentono agli utenti di aggiungere moduli o “applicazioni” atti a migliorare il profilo personale.
Con il passare del tempo, i social network sono diventati ambienti virtuali che vengono frequentati quotidianamente da milioni di utenti, non solo per stabilire nuove connessioni o per trasportare la rete amicale dall'on-site all'online, ma vengono ad oggi utilizzati anche per scopi professionali.
Per la categoria professionale degli psicologi e/o psicoterapeuti si aprono però alcuni scenari nei quali diviene imprescindibile operare alcune riflessioni etiche rispetto alla possibilità che un utilizzo inappropriato di tali piattaforme possa avere ripercussioni negative non solo sulla reputazione e la credibilità del singolo professionista, bensì dell'intera categoria professionale (Van Allen &Roberts, 2011).
La capacità di stare al passo con il progresso tecnologico richiede infatti la capacità di creare strumenti informati e in grado di orientare le azioni del professionista nella cultura digitale nel rispetto dei valori e principi etici che regolano la professione.
La psicologia clinica, così come le diverse correnti psicoterapeutiche, promuovono un aspetto relazionale fondato sulla riservatezza e la privacy. Di contro, pratiche di self-disclosure o meglio di svelamento di Sè sulle piattaforme di social network possono quindi esporre ad alcuni rischi che è bene considerare.
A tal proposito diversi autori (Zur et al., 2009) suggeriscono di informarsi sulla nascita della Psicologia rurale che, per prima, ha sfruttato il canale virtuale per raggiungere quelle fette di popolazione impossibilitate a recarsi personalmente nella stanza del professionista, per esplorare e comprendere i diversi dilemmi relativi all'auto-divulgazione e alle violazioni dei confini (Hargrove, 1982, 1986).
Ciò non si traduce in una visione dell'uso dei social network come recanti esclusivamente degli svantaggi, ma per lo più ad un adattamento “saggio” alla cultura digitale che sappia coniugare i principi etici e deontologici allo sviluppo di competenze tecnologiche.
Lo scenario attuale è il seguente: la categoria professionale si trova divisa in “immigrati digitali”, ossia coloro che sono approdati successivamente al mondo dell'online e che possono avere più difficoltà nella gestione degli aspetti tecnologici, ma una forte propensione al rispetto dei valori etici professionali; dall'altra parte, vi sono invece i “nativi digitali”, ossia soggetti che possiedono maggiori competenze nell'ambito del digitale, ma che possono più facilmente sacrificare i valori dell'etica deontologica per adattarsi alle norme e pratiche sociali dei social media.
Con il termine social media si fa riferimento a siti Web che utilizzano applicazioni che consentono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti che popolano la piattaforma online (Kaplann, Haenlein, 2010).
Questi siti web pososno includere ad esempio Social Network Sites (Facebook, LinkedIn, MySpace), supporti di pubblicazione (Wordpress, Wikipedia), condivisione dei contenuti (YouTube, Flickr), discussioni (Yahoo Messenger, Google Talk, Skype), microblogging (Twitter, Tumblr), livestream (Friendfeed, Lifestream) e mondi virtuali (Second Life) (Hunt, 2010; Kaplan, Haenlin, 2010).
Secondo Taylor e colleghi (2010), gli psicologi tendono ad utilizzare sempre di più i social network; a questo si aggiunge che l'81% dei laureati in psicologia hanno dichiarato di avere un profilo online su uno dei siti di social network, e di questi il 33% utilizza Facebook costantemente (Barnett e Powers, 2010).
Rispetto alla modalità d'uso dei social network, ritorna utile la differenziazione compiuta poco sopra. Dalle ricerche emerge infatti che sono i colleghi più giovani a fare un maggiore utilizzo del social network e ad incontrare, conseguentemente, maggiori problemi o dilemmi specifici legati al mondo dell'online rispetto ai colleghi più esperti (Taylor et al., 2010).
Nonostante nei percorsi di specializzazione di tipo psicoterapeutico sia prevista la supervisione, è probabile che molti dei professionisti più giovani si trovino in difficoltà nel comprendere come gestire alcune scelte nel mondo virtuale. Chretien e colleghi (2009) hanno infatti messo in evidenza che circa il 60% di studenti americani, iscritti presso le scuole di medicina, riportavano pubblicazioni di contenuti online non professionali, tra cui divulgazione di dati privati, linguaggio volgare e discriminatorio, materiale sessualmente suggestivo e via dicendo.
In un'altra ricerca condotta da Di Lillo e Gale (2011) è emerso inoltre che circa il 98% degli psicologi in fase di specializzazione post-laurea aveva utilizzato i social network per cercare informazioni sui pazienti presenti e passati, anche se riferivano che tale comportamento era da ritenersi “solitamente” inaccettabile.
Quanto emerge dal corpus della letteratura porta automaticamente a chiedersi come poter applicare comportamenti eticamente corretti nel mondo dei social network. Indubbiamente, in accordo con Hargrove (1982, 1986), Helbock e colleghi (2006), si possono ritenere i social network come un “piccolo mondo online”, un ambiente analogo a quello rurale dove gli psicologi sono intervenuti per garantire la fornitura dei servizi psicologici.
Questi due mondi, apparentemente molto lontani, possono però presentare alcune somiglianze, in quanto caratterizzati da un contatto accidentale pervasivo, inevitabile divulgazione di sé e relazioni multiple. Ad esempio, vivere in un paese molto piccolo può comportare una maggiore conoscenza della posizione o della vita privata del professionista (Nicholson, 2011).
Anche se l'American Psychological Association (Martin, 2010) ha già fornito alcune indicazioni etiche riguardanti l'utilizzo dei social network, molti psicologi e psicoterapeuti non hanno affrontato adeguatamente percorsi di formazione relativi ad alcune questioni come l'auto-divulgazione e le relative implicazioni etiche.
Il principio guida da tenere in considerazione quando ci si accosta al mondo dei social network è porsi con lo stesso atteggiamento che si adotta nella stanza di analisi, in cui la relazione è protetta ed in cui sono pochi i rimandi alla vita privata del professionista. L'ambiente virtuale espone invece ad un inevitabile svelamento che potrebbe divenire controproducente se si genera un'incongruenza tra la presenza on-site e quella strutturata nell'ambiente virtuale. Un elemento che va tenuto fortemente in considerazione è infatti la violazione dei confini e la possibilità di instaurare relazioni multiple sui social network.
Se in un contesto rurale evitare queste due componenti non è sempre possibile, allo stesso modo, tale pratica ha dimostrato che alcune violazioni dei confini potrebbero non essere totalmente ingestibili (Zur et al., 2009), o che espongono al rischio di determinare danni al clienti (Gottlieb e Youngreen, 2009).
Violazione dei confini nell'online
L'American Psychological Association (2010) elenca tre principi cardini che ispirano e guidano la professione psicologica anche rispetto alla messa in atto di comportamenti online che possano limitare la violazione dei confini. Questi sono rispettivamente il principio di beneficenza, non maleficenza e integrità.
Alla base di tali principi vige l'idea che gli psicologi debbano operare le dovute riflessioni e assumere le opportune precauzioni in merito alla diffusione di consigli e commenti pubblici su internet, incluse le piattaforme di social media. Il comportamento online può ritenersi eticamente orientato quando si è in grado di effettuare un bilancio tra i potenziali rischi e vantaggi che determinate attività online potrebbero avere sui propri clienti.
Secondariamente, il principio di integrità chiarisce come l'interazione online con i clienti possa determinare situazioni confondenti. Nonostante ognuno di noi ha la libertà e l'autonomia di utilizzare il proprio profilo professionale, allo stesso tempo molti professionisti potrebbero ingenuamente pensare che l'attività online “privata” non va a determinare attribuzioni o giudizi sulla loro competenza professionale.
L'eventuale discrepanza che viene a crearsi tra comportamenti professionali e personali può generare alcuni problemi. Nel momento in cui si adottano comportamenti online di auto-divulgazione nascono quei dilemmi che circondano i ruoli personali e professionali: in alcuni casi si segnala infatti la genesi delle violazioni dei confini.
In una ricerca condotta da Kaslow e colleghi (2011) si è osservato che attraverso processi di auto-divulgazione “la percezione della relazione da parte del paziente potrebbe assumere caratteristiche sociali e la terapia essere vissuta come contesto in cui si esplorano le questioni personali di entrambi i soggetti presenti” (p.106).
Secondo Zur e colleghi (2009) l'auto-divulgazione può verificarsi in tre modi:
- deliberatamente: in questo caso le divulgazioni sono intenzionali;
- inevitabile: le rivelazioni sono inevitabili ma generalmente previste;
- accidentali: in questo caso la divulgazione di sé è inevitabile e inaspettata.
Poiché la rete tiene traccia di tutti i nostri comportamenti online, nonché immagazzina tutte le informazioni (dati personali, fotografie e così via) che forniamo, l'auto-divulgazione online è quasi sempre inevitabile. A questo si aggiunge il comportamento online agito dal cliente che spesso utilizza Google o Siti di Social Network per ottenere maggiori informazioni sui propri psicologi o psicoterapeuti (ibidem).
Altre ricerche (Strater, Richter, 2007; Barnes, 2006) hanno evidenziato da una parte una scarsa consapevolezza circa la sicurezza delle informazioni personali veicolate tramite il mondo online, e dall'altra parte è emerso che rispetto ai costrutti di privacy si adottano comportamenti “tutto o niente”: una parte del gruppo di soggetti rispetta rigorosamente gli standard di privacy, mentre l'altra parte non tiene minimamente in considerazione tali aspetti.
I rischi di un comportamento di questo tipo sono particolarmente negativi, in quanto i clienti potrebbero scoprire intenzionalmente informazioni personali sul proprio terapeuta che includono numeri di telefono, indirizzi privati, fotografie inerenti situazioni sociali e/o familiari, recensioni da parte di altri clienti, video personali o professionali, profili sui Social media e via dicendo.
Altro pericolo legato ai Social network è l'instaurarsi di relazioni multiple (Barnett et al., 2007) che pongono dilemmi decisionali etici. Secondo l'American Psychological Association (2010) si verificano relazioni multiple quando uno professionista adotta un ruolo professionale con una persona e contemporaneamente adotta un ruolo personale con quella persona o qualcuno strettamente associato a quella persona.
La possibilità che si verifichi una situazione del genere espone ad un rischio che può danneggiare i clienti (Kitchener, 1988): primariamente si segnala un'incompatibilità tra le aspettative del cliente e quelle dello psicologo; questo può generare l'instaurarsi di un ruolo confondente da parte del professionista di tipo non terapeutico, nonché una differenza di potere tra lo psicologo ed il cliente.
Comprendere tali dilemmi etici è quindi fondamentale al fine di evitare tutti quei contatti non professionali con i propri clienti, riducendo così il rischio che possano crearsi relazioni multiple dannose.
Le Best Practice nel mondo dell'online
I siti di Social Network possono rappresentare risorse significative per la connessione con amici e familiari, ma allo stesso tempo, si suggerisce all'APA (Burke & Cheng, 2011) di iniziare a sviluppare linee guida che possano orientare la pratica professionale sui Social Network, garantendone un utilizzo che si ponga come beneficio per i propri clienti, di sé stessi e della reputazione della pratica psicologica.
Rispetto alla gestione dei confini online, considerando che le relazioni online possono essere simili a quelle personali, bisogna considerare i potenziali impatti di queste sulla relazione terapeutica. Secondo la Canadian Psychological Association (2008) impostare limiti appropriati con i clienti aiuta ad evitare conflitti di interesse.
Primariamente, è importante creare e mantenere sui Social network una politica formale e trasparente per i clienti nel processo del consenso informato (Tunick et al., 2011; Lehavot et al., 2010). Anche l'American Counselling Association (2005) ritiene che i processi di consenso informato dovrebbero comprendere un riconoscimento dei rischi e vantaggi dell'utilizzo dei Social network e di altre tecnologie.
In secondo luogo, bisognerebbe evitare la formazioni di relazioni multiple online con i clienti (American Medical Association, 2010). Tuttavia, qualora ci fossero casi eccezionali, gli psicologi che si trovano di fronte a tale dilemma potrebbero considerare i quesiti di Youngreen e Gottlieb (2004):
- è necessario stabilire un altro tipo di relazione oltre a quella professionale o è preferibile evitare?
- Una doppia relazione, professionale e personale, può potenzialmente danneggiare il cliente?
- Qualora supponga che una relazione personale con il cliente non sia dannosa, qual è il vantaggio che ne ricavo?
- Esiste il rischio che una doppia relazione possa determinare l'interruzione della relazione terapeutica?
- Posso valutare obiettivamente la situazione?
Altro aspetto da considerare è che la ricerca che il professionista mette in atto online per cercare informazioni sul cliente si rivela un comportamento dannoso, perché senza l'autorizzazione del cliente questo può essere considerato una violazione di confini. A tal proposito, Gabbard e colleghi (2011) suggeriscono ai professionisti di sviluppare strategie di auto-monitoraggio attraverso la consultazione con dei supervisori.
Altri autori (Clinton e colleghi, 2010) offrono sei quesiti che i professionisti dovrebbero porsi nel momento in cui sono tentati di ricercare informazioni online sui propri pazienti:
- perché voglio condurre questa ricerca?
- La ricerca potrebbe favorire o compromettere il trattamento?
- È necessario il consento informato del paziente?
- Se effettuo la ricerca, devo poi condividere i risultati con il paziente?
- Devo documentare i risultati trascrivendo le informazioni nella cartella clinica?
Infine, come è importante separare i ruoli professionali dalle relazioni personali, allo stesso modo è fondamentale separare i profili personali online da quelli professionali sui social network (Myers et al., 2012).
Possedere competenze tecnologiche online
Per essere proattivi e protettivi nel mondo dell'online è necessario che i professionisti della salute mentale ottengano una formazione che garantisca loro competenze tecnologiche (McMinn et al., 2011). Allo stesso modo in cui la formazione accademica istruisce sull'importanza di esplorare e comprendere il contesto socio-culturale in cui ci si trova ad operare, i Social network, presentando una loro struttura sociale, richiedono una comprensione e analisi di essa.
Per monitorare eventuali informazioni con cui il cliente può entrare a contatto, è bene che i professionisti cerchino periodicamente il proprio nome online per sapere cosa i clienti potrebbero scoprire da una ricerca simile (Taylor et al., 2010). Sui Social network, in particolare Facebook, si raccomanda un comportamento proattivo nell'impostare una limitazione su chi può accedere e leggere le informazioni personali. In tal senso, l'American Medical Association (2010) raccomanda ai professionisti della salute di impostare i livelli di sicurezza più alti sui social network, consentendo l'accesso solo agli amici.
Per esempio, su Facebook l'impostazione e la regolazione dei livelli di privacy oltre alle informazioni personali dovrebbe riguardare la pubblicazione di post, foto, tag da parte di altre persone che ritraggono in situazioni sociali e così via. Altri autori (Barnett, 2008) suggeriscono di prendere in considerazione l'uso di uno pseudonimo per rendere difficile per i clienti trovare informazioni personali dei professionisti.
Conclusioni
Il panorama digitale richiede competenze tecnologiche e comportamenti eticamente orientati. Un uso smodato e poco controllato del Web, in particolar modo dei Social network, solleva dilemmi etici che richiedono pertanto una corretta gestione degli stessi. Mutuando tutti quegli aspetti studiati nel contesto della psicologia rurale si può apprendere qualcosa circa la gestione dei livelli di trasparenza, auto-divulgazione accidentale e gestione dei contini online.
Pertanto, la letteratura ritiene che i professionisti, i docenti, i supervisori e gli enti istituzionali rappresentanti la categoria debbano operare scelte atte a promuovere formazione e sviluppo di competenze tecnologiche per un corretto uso dell'online che si riveli vantaggioso per la categoria. Solo in questo modo la psicologia potrà migliorare la sua rilevanza ed efficacia in un mondo così complesso come quello dell'online.
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