Madre sufficientemente buona, contenitore e oggetto trasformazionale: il contributo della psicoanalisi alla realtà virtuale nel trattamento della sintomatologia ansiosa.
di Giorgia Lauro
La Terapia basata sulla realtà virtuale (Virtual Reality-Based Therapy) è utilizzata nell'ambito clinico della salute mentale da diversi anni, tanto da essere ad oggi riconosciuta come preziosa forma di trattamento in aggiunta alla psicoterapia tradizionale.
Diverse ricerche (Wiederhold &Wiederhold, 1999; Hodges et al., 1996) hanno infatti evidenziato quanto l'uso di ambienti virtuali (Virtual Environment, VE) siano efficaci nel trattamento di condizioni legate allo spettro ansioso, in particolare fobie specifiche e disturbo da attacco di panico.
La comprensione teorica che oggi è presente in letteratura rispetto all'efficacia della realtà virtuale è stata esplorata attraverso il punto di vista della teoria cognitiva-comportamentale, in quanto tecniche quali desensibilizzazione sistematica e ristrutturazione cognitiva rappresentano le basi su cui sono andate consolidandosi le teorie.
Tuttavia, poco è stato scritto sulla realtà virtuale a partire da una prospettiva psicodinamica. Il pensiero psicoanalitico può infatti fornire un vasto pool di informazioni al fine di esplorare e comprendere le nuove modalità di trattamento di alcune condizioni psicopatologiche.
A tal proposito, nel presente articolo si cercherà di delineare una visione psicoanalitica della realtà virtuale intesa come strumento efficace per il trattamento dei disturbi dello spettro ansioso, partendo da una comprensione teorica dell'ansia secondo la psicoanalisi.
A partire dalle concettualizzazioni di Donald Winnicott (1951), si può parlare di sviluppo ottimale in quel contesto relazionale in cui il pediatra psicoanalitico dà rilevanza alla cosiddetta “madre sufficientemente buona”.
Secondo la visione di Winnicott, “la madre è una persona che si adatta attivamente ai bisogni del bambino, un adattamento attivo che diminuisce gradualmente, secondo la crescente capacità del bambino di tollerare la frustrazione” (p.10).
Le capacità cognitive individuali si svilupperanno indipendentemente o nonostante la presenza di un conflitto quando la madre si pone come “sufficientemente buona”. Lo sviluppo di queste capacità, tuttavia, può andare modificandosi in vari modi e in anticipo rispetto al conflitto, così come può alterarsi durante lo sviluppo in virtù dell'insorgenza di emozioni schiaccianti come ansia o paura (Tyson & Tyson, 1990).
La risposta e l'adattamento ad esperienze spaventose, secondo Renè Spitz (1959), dipende dal funzionamento dell'Io nel suo insieme. In tal senso, se l'abilità dell'Io di modulare l'affetto viene ad interrompersi, portando all'incapacità di utilizzare l'affetto (in particolare l'ansia) come segnale, l'ansia tenderà a sopraffare l'azione dell'Io ed il risultato sarà lo sviluppo di un disturbo ansioso.
Nel contesto psicoanalitico, Moore & Fine (1990) definiscono l'ansia come quel “segnale” capace di segnalare ad un individuo un pericolo imminente. Alla ricezione del segnale, subentrano tentativi di evitamento o adattamento all'ansia generata da quella situazione.
In generale, quando una persona si confronta con una situazione ansiogena, fisiologicamente il cervello è programmato per fornire una tipologia di risposta “lotta/fuggi”. Gli individui tendono ad oscillare in funzione di quali risposte sceglieranno, a seconda delle caratteristiche ambientali e personali.
Tuttavia, molti individui reagiscono istintivamente ai fattori di stress in modo disadattivo. Alla prima estremità di questo continuum vi può essere un attacco di panico o ansia.
In tali condizioni, vi è un'iperattivazione del sistema adrenergico con sintomi travolgenti che si tramutano in un vero e proprio attacco di panico. Possono reagire restando ad esempio paralizzati dalla paura, iperventilando, perdendo il controllo degli sfinteri, svenendo o altre reazioni che non favoriscono una risoluzione della risposta ansiogena.
All'altra estremità di questo continuum, innescata dalla stessa tipologia di segnali fisiologici, si può trovare la dissociazione. Anche in questi casi gli individui avvertono un senso di sopraffazione dalla situazione, ma rispondono a tale esperienza compartimentalizzando tali sensazioni al di fuori della loro coscienza.
Poiché la situazione comporta ansia e paura, e spesso sentimenti di impotenza, la parte della coscienza che tende a chiudersi è la parte che esperisce l'affetto (Kluft, 1992). Nonostante l'individuo possa avere consapevolezza delle emozioni legate allo stress, isola inconsciamente l'affetto associato ad esso.
Misure fisiologiche prese durante l'evento stressante, tuttavia, potrebbero mostrare poca o nessuna eccitazione oppure un'eccitazione iniziale alta che scende però rapidamente al di sotto delle misure di base.
L'ambiente virtuale nel ruolo di contenitore
Nella realtà virtuale, l'utente o paziente che ne fa esperienze si trova in un ambiente sicuro in cui poter sviluppare una modalità di gestione efficace tesa a rafforzare le funzioni psicologiche indebolite o che sono state travolte dagli aspetti ansiosi.
L'ambiente virtuale può quindi essere visto come analogo all'ambiente di contenimento descritto da Winnicott (1958), o al concetto di “contenitore” di Bion (1962), con il quale si fa riferimento ad un agente esterno alla persona che serve come regolatore dell'ansia e di tutte quelle emozioni vissute come spaventose o travolgenti.
Secondo la teoria psicoanalitica, durante i primi anni di vita questo agente esterno di regolazione è la madre. Nel corso della crescita il bambino è quindi in grado di sviluppare la capacità di tollerare la propria ansia, interiorizzando tale compito e perciò senza un'assistenza esterna.
Generalmente, gli individui ricercano un trattamento quando tale processo ha esito negativo e quindi non presenta capacità autonome di contenere la propria ansia. In tal senso, la psicoanalisi ritiene che tale situazione sia rappresentativa di un'incapacità da parte dell'Io di esperire l'ansia come “segnale”.
Può quindi sembrare paradossale l'idea di utilizzare la realtà virtuale per il trattamento di una simile condizione in quanto l'ambiente virtuale è appositamente creato per stimolare l'ansia di un paziente, riportandolo cioè in una dimensione in cui avverte di non aver nessun controllo. Allo stesso tempo, l'esperienza virtuale è praticata in un ambiente rigorosamente controllato in cui vengono presentati stimoli che generano ansia in modo gradualmente crescente.
Il tipo e l'intensità degli stimoli vengono adattati alla capacità di tolleranza del paziente, misurati in base a valutazioni soggettivo dello stesso, nonché attraverso dati oggettivi ottenuti attraverso il monitoraggio fisiologico (Wiederhold & Wiederhold, 2000).
I pazienti che sono molto ansiosi sono spesso difficili da trattare. Kissen (1966) sostiene che il compito del terapeuta nel momento in cui lavora con questa tipologia di pazienti è quello di “contenere gli stati delle rappresentazioni del Sè proiettati dal paziente e non comporta, in larga misura, procedure interpretative. In sostanza, lo psicoterapeuta deve fornire un contenimento dell'esperienza di pre-interpretazione e in gran parte di materiale che ha natura non verbale.” (p.7).
Allo stesso modo, l'ambiente virtuale funge da contenitore per l'ansia mentre il paziente apprende nuove tecniche di coping attraverso la ristrutturazione cognitiva e la desensibilizzazione sistematica.
In altre parole, il paziente è in grado di esplorare progressivamente la sua ansia senza esserne sopraffatto, perché l'ambiente appare sicuro e controllato. Man mano che la capacità del paziente di tollerare aumenta, egli sta anche imparando a contenere la propria ansia.
L'ambiente virtuale come oggetto trasformazionale.
Bollas (1987) psicoanalista di spicco nel panorama contemporaneo mette in evidenza che la madre, prima di essere vissuta come persona intera e quindi separata dal Sè del bambino, ha funzionato come una “regione o fonte di trasformazione. Poiché la soggettività nascente del bambino è quasi completamente legata all'esperienza di integrazioni dell'Io (cognitivo, libidinale, affettivo), il primo oggetto viene identificato con le alterazioni dello stato dell'Io”.
La madre è cioè vista come un oggetto il cui scopo è alterare il Sè del bambino al fine di promuovere lo sviluppo dell'Io. Lei realizza questo compito attraverso la manipolazione e la gestione dell'ambiente del bambino (pannolino, alimentazione, cura, e via dicendo). Man mano che si sviluppano le funzioni dell'Io del bambino, lui inizia a sviluppare gradualmente la capacità di comprendere i propri bisogni ed esigenze (Mahler, Pine &bergman, 1975).
Tuttavia, l'esperienza dell'Io di essere trasformata da una forza esterna rimane nella memoria inconscia e alcuni oggetti sono il risultato di un'esperienza di tali trasformazioni. Un esempio di ciò può essere il trattamento attraverso la realtà virtuale.
L'ambiente virtuale può fungere da oggetto trasformazionale permettendo, attraverso esperienze monitorate in sicurezza, un cambiamento dell'Io e una padronanza dell'ansia. Il cambiamento nell'ambiente esterno può determinare cambiamenti nella struttura interna e nella capacità generale del senso diautoefficacia del paziente.
La terapia basata sulla realtà virtuale può quindi essere un potente mezzo di cambiamento in quanto il paziente identifica l'ambiente virtuale come un oggetto con la capacità di trasformarli, proprio come faceva la madre quando erano bambini.
Questa identificazione è inconscia e si verifica ad un profondo livello psicosomatico, che Bollas chiama pre-verbale (1987). Mentre è immerso nel mondo virtuale, il paziente, attraverso il transfert con l'ambiente, sente che quell'ambiente ha la capacità di trasformare la loro ansia travolgente nella padronanza e nella capacità di adattamento.
In sintesi, la convinzione che l'ambiente virtuale possa trasformarli favorisce l'apprendimento di abilità di coping adattive. Pertanto, la funzione di identificazione e di transfert con il mondo virtuale è imitare la relazione trasformante e di sviluppo delle competenze vissute all'inizio della vita.
I pazienti cercano spesso un trattamento perché desiderano sia delle trasformazioni interne (riparare i danni dell'Io) e sia delle trasformazioni esterne (diminuire l'ansia e aumentare l'autoefficacia).
Secondo Bollas, il soggetto che vive tale esperienza ovviamente non vive consapevolmente l'ambiente virtuale come oggetto di trasformazione, ma piuttosto identifica o percepisce tale ambiente come un oggetto di trasformazione.
La ricerca di un tale oggetto “nasce dalla certezza della persona che l'oggetto fornirà trasformazione; questa certezza si basa sulla capacità dell'oggetto di rianimare la memoria delle trasformazioni precoci dell'Io” (Bollas, 1987, p.27).
In conclusione la realtà virtuale nonostante sia maggiormente utilizzata e supportata da ricerche in campo cognitivo-comportamentale, trova comunque una sua collocazione anche all'interno del panorama psicoanalitico.
Esaminare l'esperienza di un paziente nel mondo virtuale utilizzando tale prospettiva può essere particolarmente utile per comprendere l'efficacia di questo tipo di trattamento. Proprio come nella psicoanalisi classica di stampo Freudiano, anche nel campo dell'ambiente virtuale il paziente non ha contatto visivo con l'analista.
Senza la capacità di ricevere segnali sociali da parte del terapeuta, i pazienti spesso si sentono molto meno inibiti nella discussione di determinati argomenti. Nella realtà virtuale il transfert che il paziente sviluppa è principalmente legato all'ambiente di cui sta facendo esperienza.
Ciò quindi consente all'ambiente virtuale di contenere l'ansia del paziente e fungere da oggetto trasformativo che facilita l'apprendimento di nuove abilità e tecniche di coping.
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Bibliografia
- Bion W. R. (1962). A Theory of Thinking. International Journal of PsychoAnalysis, 43, 306-310.
- Bollas, C. (1987). The Shadow of the Object. New York: Columbia University Press.
- Kluft, R.P. (1992). Discussion:A Specialist’s Perspective on Multiple Personality Disorder. Psychoanalytic Inquiry, 12, 139-171.
- Kissen, M. (1986). Assessing Object Relations Phenomena. Madison, CT: International University Press.
- Mahler, M., Pine, F. & Bergman,A. (1975). The Psychological Birth of the Human Infant. New York: Basic Books, Inc
- Moore, B., & Fine, D. (1990). Psychoanalytic Terms and Concepts. New Haven and London: American Psychoanalytic Association and Yale University Press
- Spitz, R. (1959). A Genetic Field Theory of Ego Formation: It’sImplicationsfor Pathology. New York: Int. Univ. Press
- Tyson, P., & Tyson, R.L. (1990). Psychoanalytic Theories of Development. New Haven: Yale University Press.
- Wiederhold, B. K., Wiederhold, M. D. (1999). Clinical Observations During Virtual Reality Therapy for Specific Phobias. CyberPsychology and Behavior: The Impact of the Internet, Multimedia and Virtual Reality on Behavior and Society, 2(2), 161-168.
- Winnicott, D.W. (1951). Transitional Objects and Transitional Phenomena. In, D. W. Winnicott, Playing and Reality (pp. 1-25). London: Tavistock/Routledge, 1971.
- Winnicott, D.W. (1958). Collected Papers: Through PediatricstoPsychoanalysis. London:TavistockPress.