L'emergenza per il Covid-19 ha portato la comunità degli psicologi ad applicare nuove e più attuali forme di sostegno psicologico. Una riflessione sulle implicazioni e sulle misure deontologiche, tecnico-professionali e giuridiche.

di Catello Parmentola e Elena Leardini

Quello che emerge nellemergenza. Il sostegno psicologico al tempo del Coronavirus

Questa emergenza convoca molto gli Psicologi.

Il loro impegno è stato sollecitato e proposto da Istituzioni ed Associazioni di categoria.

E gli psicologi stanno rispondendo massivamente, mettendosi a disposizione, ai più diversi titoli.

Di fatto, si tratta della figura professionale più umanamente disponibile per definizione, sempre ai vertici dell’apprezzamento, per questo, in tutte le indagini sul grado di soddisfazione dei Servizi.

Quindi, in questo momento, come tanti giovani medici e infermieri, anche tanti psicologi, di diverse generazioni, sono in prima linea. E ‘in linea’ (online).

Accanto allo slancio umano, tuttavia, è importante ricordare che la delicatezza e la complessità di quello che clinicamente emerge nell’emergenza, richiede ancora più professionalità, più competenza, più rigore.

Accanto al cuore, che ogni cittadino può investire su queste frontiere, lo psicologo ha da investire anche il proprio bagaglio di saperi, strutture e strumenti.

La Psicologia dell’Emergenza è una ‘specializzazione’, con i suoi esperti, le sue codificazioni tecniche, i suoi testi di riferimento ecc.

Perché nell’emergenza si è esposti professionalmente all’eccezionalità, alla radicalità, all’alterazione, a fattispecie spesso mai sperimentate.

Per aiutare compiutamente su queste frontiere, è importante che il cuore filtri la scienza: va bene ‘buttarsi’ con i sentimenti e le idealità che il momento richiede ma, nella fretta, non bisogna dimenticare di prendere e portare il proprio bagaglio ‘tecnico’.

L’emergenza

Sono tempi di Domande compulse, sovrapposte, ‘mischiate’.

Domande che possono corruttivamente ‘emergenziare’ anche le risposte professionali nella compulsione, trascinandole in mischie disfunzionali.

Nell’emergenza, spesso, non ricorrono le condizioni complessive per operare una clinica organica e strutturata, a parte quella che si può tentare di preservare con propri pazienti già consolidati.

Pur tuttavia, sono molte le frontiere dove l’aiuto psicologico può essere fondamentale per sostenere ed orientare, ma anche per contenere o risolvere sintomi, disagi e difficoltà reattivi a ‘tutto quello che ci sta succedendo’.

  1. Lo psicologo può aiutare, nei pazienti, procedure più corrette e più corrette profilassi, sia con riferimento all’organizzazione interiore che a quella ‘attorno’, dall’ambiente alla giornata.
    Una disciplina e una tenuta formali nella distribuzione ordinata delle cose da fare, delle scansioni temporali, delle sequenze, può aiutare a tenersi più ancorati anche ‘dentro’, contenendo il rischio di  dinamiche alienative. 

  2. Lo psicologo può mediare consigli e anche tecniche, anche psicofisiche, di contenimento dell’ansia.
    Gli agganci ‘pratici’ sostanziano sempre bene la prima interlocuzione; mediano anche livelli diversi di relazione; funzionano sempre almeno un po’; non hanno particolari controindicazioni.

  3. Ad un livello clinico diverso, è ovviamente importante ‘fare dire il sintomo’, l’ansia, la paura…, per decongestionare psicologicamente, aiutare primi ‘accenni’ elaborativi e canalizzare su livelli più espressi e adattivi, dal senso di quello che si prova al significato, anche sociale, culturale, politico…, di quello che sta accadendo.

  4. È importante poi ‘accompagnare’ quelle operazioni reificative che possono operare dei bilanciamenti sia nell’economia intrapsichica che nelle contabilizzazioni cognitive e possono alleggerire un po’ e fare ‘respirare’.
    Intendiamo l’aiutare il paziente a porre un po’ di attenzione, accanto al tanto di brutto che sta succedendo, anche a quel poco di buono che ne potrebbe venire quando tutto sarà finito.
    L’aiutare a porre un po’ di attenzione anche a quello che abbiamo capito, a quello che abbiamo imparato, a quello che dovremmo ricordare (il ‘privilegio’ di vivere, la scelta dei punti di vista più economici, l’incertezza della condizione umana, la contabilizzazione e la cura degli ‘esili’ possessi…).

  5. Nei casi in cui l’emergenza ha scatenato misure psicopatologiche più ‘importanti’, è importante che lo psicologo sappia commisurare  il proprio contributo professionale alla possibilità reale di offrirlo.
    In questi casi, si può chiarire il quadro diagnostico e riflettere le strategie terapeutiche.
    Ma, essendo molto difficile, nell’emergenza, l’istituzione di setting appropriati, è fondamentale non prendere in carico quote cliniche eccedenti quelle che si possiamo professionalmente sostenere.
    Lo psicologo contribuisce per quello che può, senza alimentare soverchie aspettative, - trattandosi di pazienti nuovi, - della probabile slatentizzazione di nuclei patologici pregressi, - non essendoci, come detto, tempo e modo di lavorare a lungo e con modalità appropriate.
    Per le quote che eccedono le sue possibilità, ci sono anche altre figure professionali con altri presidi spendibili, come -ad esempio- i compensi farmacologici. Perché la sofferenza dei pazienti merita rispetto e non può aspettare (che tutto questo finisca), non può restare senza risposte. E anche perché la sofferenza sintomatica disturberebbe o ostruirebbe comunque ogni altro tipo di lavoro terapeutico.

  6. Potremmo dire che lo psicologo, nell’emergenza, dovrebbe concentrarsi fondamentalmente sugli aspetti emergenziali, stando nella contingenza, di fronte a ‘Domande finite’, contribuendo con ‘Risposte finite’, in un arco temporale finito, con modalità finite.
    L’emergenza è un perimetro finito: ci si deve muovere in quel perimetro, con gli strumenti e i codici specifici e adatti allo scopo.
    Non è accoglibile, nelle strategie emergenziali, tutto lo ‘strutturato’ e profondo che può arrivare da altri luoghi ed altri tempi, come –ad esempio- quegli antichi nuclei fobici ed ossessivi spesso ri-eccitati dall’emergenza.
    Per calibrare qualitativamente il tipo di aiuto, lo psicologo dovrebbe comprendere pregiudizialmente se il paziente ‘si prende la scena’ perché la consegue o perché la istituisce, se quello che prova è solo reattivo e proporzionato a quello che sta accadendo (un’ansia ‘chiara’, una depressione ‘chiara’…) o si sta mischiando a quello che sta accadendo con ‘qualcosa di suo’, quella mischia soggetto-oggetto rintracciabile per esmpio in molti stati ‘angosciati’.
    In una situazione di emergenza, è opportuno farsi carico professionalmente del paziente reattivo ma bisogna, invece, valutare con molta attenzione l’opportunità di farsi carico del secondo tipo di paziente, stante la difficoltà ad istituire setting professionali adeguati.
    Nel caso del coronavirus, ad esempio, vediamo che, per lo più, sono istituibili solo setting ‘a distanza’ e, di questo, non si può non tenere conto.          

  7. L’emergenza, per definizione, ‘sovrasta’ e sovrasta anche le misure ordinarie di ognuno, comprese le misure professionali.
    È probabile che, nell’emergenza, le domande possano porsi con ‘cifre’ e modi così estremi e difformi che anche lo psicologo, ‘in quel momento’, possa non sapere che dire e che fare.
    Sulle frontiere emergenziali, si tratta ovviamente di una circostanza assolutamente plausibile: l’importante è ‘non sapere che dire e che fare’ molto bene. Può manifestarsi una solida professionalità anche in questo, nel modo in cui non si sa che dire e che fare’, nella tranquillità con cui ‘si aspetta’ che le cose diventino più chiare, nella tranquillità con cui ci si va a confrontare con colleghi più esperti (anche esperti in tranquillità), nella tranquillità con cui si va a consultare i testi…
    Nell’emergenza, è esposto il Limite. È esposta la natura ‘umana’: si è tutti non ancora adeguati alle prove da affrontare. Risolvere l’emergenza altro non significa che portarsene all’altezza, colmare -in tempi elaborativi e prestazionali- una Distanza posta in modo improvviso ed imprevedibile.

  8. Il punto più importante da richiamare è che esiste una Psicologia dell’Emergenza, con i suoi esperti, i suoi saperi codificati, i suoi materiali tutoriali, i suoi livelli associativi ed organizzativi.
    Quindi, per qualunque dubbio o difficoltà, lo psicologo può fare riferimento alle esperienze consolidate della Psicologia dell’Emergenza, chiedere ai colleghi, muoversi sentendo ‘alle spalle’ una solida comunità professionale e ‘dentro’ un coerente passo identitario.

Le prestazioni professionali online

In questi giorni, quasi tutti gli psicologi sono in video-seduta e in video-tutto.

Non basta, tuttavia, il doverlo fare solo perché adesso non ci sarebbe alternativa, mettendosi tutti online così come prima ci si metteva tutti negli ambulatori.

Ci sono vari livelli di riflessione a riguardo. Va ‘sequenziato’ tutto quello che è importante ricordare per esercitare in modo più sicuro e appropriato la professione on-line.

  1. L’Articolo 1 del Codice Deontologico degli Psicologi afferma che Le stesse regole (tutte le regole del Codice) si applicano anche nei casi in cui le prestazioni, o parti di esse, vengano effettuate a distanza, via Internet o con qualunque altro mezzo elettronico e/o telematico.
    Basterebbe questo, poco da aggiungere: le prestazioni professionali online non danno alcuna licenza di deroga riguardo a nessun articolo del Codice Deontologico.
    Questo è già un implicito e proteggente parametro valutativo: ‘posso fare quello che sto facendo solo se ciò non viola nessuno dei 42 articoli del Codice Deontologico’, altrimenti quella prestazione professionale on-line non è effettuabile. Punto.
    In rete, non si smette di essere psicologo; non si smettono tutti i vincoli di una professione giuridicamente ordinata.

  2. Per essere sicuri della stessa efficacia clinica è importante confrontare, caso per caso, i due setting (ambulatoriale e ‘a distanza’) e censirne, caso per caso, perdite e guadagni.
    Valutare, quindi, se la quota efficace, comunque restante, sia o meno sufficiente a giustificare, caso per caso, la prestazione online.
    Quasi sempre sì: nel caso dell’emergenza coronavirus, l’esercizio professionale on-line è necessario, spesso non ha alternative.
    Il ‘censimento’ di cui sopra, tuttavia, è sempre utile a ricordare ogni volta che l’on-line  non è la stessa cosa e che ogni aspetto della relazione professionale va rimodulato alla luce delle differenze. Perché la prestazione on-line può essere, caso per caso, peggio o meglio (sì, anche meglio…) di quella ‘ambulato-reale’, ma non sarà mai uguale, non sarà mai la stessa cosa.

  3. Altro implicito e proteggente parametro valutativo è costituito dal censimento degli standard giuridico-formali previsti, dal valutare, caso per caso, se la prestazione professionale online ‘preserva’ i suddetti standard.
    A partire dalla SICUREZZA della transazione (Identità degli psicologi, Identificazione degli utilizzatori, Protezione della transazione…), fino alla RISERVATEZZA (Riconoscimento dei limiti, Conservazione dei dati) ed all’APPROPRIATEZZA (La ricerca di base…).
    Su questi argomenti c’è tanta produzione dottrinaria e tecnica che può aiutare. Ci sono tanti esperti con cui eventualmente confrontarsi.

  4. Va evocata, a riguardo, la produzione istituzionale del CNOP nel corso degli anni, con particolare riferimento alle Linee Guida per le Prestazioni professionali on-line e ‘a distanza’.
    Le prime (del 2001) orientavano soprattutto riguardo a pregiudiziali misure deontologiche.
    Le seconde (del 2010, revisione delle precedenti) già affrontavano la tenuta -nella professione online- di tutti gli standard giuridico-formali previsti.
    Le più recenti, licenziate qualche anno fa dalla Commissione ‘Atti Tipici’ del CNOP, sono una guida più aggiornata e tecnica al corretto utilizzo da parte dello psicologo della dimensione online.
    Bisognerebbe riferirsi a queste ultime Linee Guida, estese apposta per ben ‘guidare’.
    Riferirsi ai saperi e alle competenze degli esperti che, negli anni, le hanno ispirate o concretamente estese, ai materiali istituzionali e tutoriali ‘ufficiali’.
    Perché non basta essere esperti di web per ricondurre automaticamente nel web gli standard professionali della professione psicologica.

Occorre, dunque, che lo psicologo si stia attento all’Emergenza, al Web e all’utilizzo del Web in Emergenza (doppia ‘rischiosa’ esposizione), visto che -ne è esempio l’attuale scenario conseguito al coronavirus- il suo impegno, ai più diversi titoli, è convocato su numeri più grandi del solito ed in  contesti operativi più disordinati e compulsi.

Questo Contributo è un primo tentativo di dargli una mano in questi passaggi così esposti e difficili.

 

(Articolo di Catello Parmentola, Psicologo, Psicoterapeuta e Elena Leardini, Avvocato)

 

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